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viernes, 7 de junio de 2013

San Bernardo e l'architettura cistercense


     Quando le pietre insegnano... San Bernardo e l'architettura cistercense (P. Gabriele M. Checchi o.cist.)


Quando le pietre insegnano... San Bernardo e l'architettura cistercense (P. Gabriele M. Checchi o.cist.)

Per lui la Chiesa abbaziale simboleggia il cammino spirituale del monaco. 
La facciata asimmetrica, gli ricorda lo stato della sua anima che ha perso l'equilibrio tra immagine e somiglianza di Dio...
San Bernardo e l'architettura cistercense, 
qualche spunto per riflettere


Fin dal noviziato mi si ripeteva: «Nel monastero nulla è messo a caso; tutto ci deve ricordare perché siamo qui!». Leggendo poi qualche trattato di S. Bernardo sono rimasto impressionato dal suo rigore e dalla sua praticità al tempo stesso, uniti alla più alta vita interiore. Però il suo insegnamento spirituale non è solamente codificato nelle sue opere e nei suoi sermoni. Anche le pietre dovevano parlare, e S. Bernardo ci ha lasciato una lezione stupenda nel monastero da lui quasi interamente progettato: la quarta figlia di Clairvaux, cioè l'Abbazia di Fontenay, posta ai confini tra la Borgogna e lo Champagne.
Premetto che le idee qui espresse sono il frutto degli insegnamenti del compianto p. Gofferdo Viti espresse nelle sue lezioni al Corso dei Formatori nella Casa Generalizia dell'Ordine nel 2001, e rielaborate da una mia povera riflessione personale.
Innanzitutto la sobrietà e la semplicità degli edifici cistercensi ricordano a tutti la riforma dei monaci bianchi in alternativa agli splendori liturgici e architettonici della grandiosità cluniacense, (che mirava a dare l'idea degli splendori del paradiso sulla terra).
Edifici piccoli, poveri, semplici, sobri ed essenziali. Sono edifici che devono promuovere la vita che si svolge nel loro interno. Tutto dev'essere orientato a Cristo: il resto è superfluo e va tolto. Niente pitture, sculture, mosaici, vetrate colorate: nei figli di Cìteaux tutto dev'essere semplice e puro: «puritas regulae, puritas vitae»: la vita e la regola vanno vissute nella loro essenzialità e purezza, niente cose curiose o pitture e sculture stravaganti, come nei chiostri cluniacensi o nelle basiliche e nelle cattedrali del tempo: la sola linea architettonica è l'ornamento; ed è logico che negli edifici cistercensi si debba avere il puro suono e la pura luce.
Il monaco, per S. Bernardo, entra in monastero per ascoltare non per guardare, e deve essere illuminato dalla pura luce, che è Cristo, di conseguenza gli edifici sono costruiti in funzione dell'udito e non della vista (fide ex auditu), e non ci sono vetrate colorate.
Le volte a crociera, tipicamente cistercensi, trasmettono il suono, sia nelle chiese che nei capitoli in modo limpido e uniforme e senza echi o distorsioni: puro suono, appunto, perché la Parola di Dio e l'insegnamento di Benedetto arrivino all'orecchio e al cuore del monaco senza «impurità» di sorta e rumori di fondo: così giungono le «visite del Verbo all'anima» e così il silenzio esteriore favorisce quello interiore e l'anima del monaco può diventare calda, amorosa e accogliente come il grembo di Maria che concepisce e genera il Verbo, altro tema caro alla spiritualità cistercense (Guerrico di Igny).
Anche l'orientamento del monastero non è privo di significati spirituali.
All'estremo nord in genere si trova il cimitero. L'accostamento è evidente: il punto cardinale più freddo evoca la morte, cui il monaco deve pensare ogni giorno «con sospetto», con attenzione, secondo la Regola, non perché debba averne paura, ma per valorizzare in pieno il tempo della vita, nella quale Dio ci concede, con infinita pazienza, la possibilità di convertirci.
Il cimitero è collegato alla chiesa abbaziale dalla «porta dei morti», che si apre al centro dell'ala nord del transetto. Il lato nord del chiostro, nel monastero cistercense, è sempre occupato dalla Chiesa, che è orientata verso est con le sue absidi, mentre la facciata è a ovest.
Il lato est del chiostro è occupato dalla sacrestia, cui segue l'armarium: la sala di consultazione dei monaci, dove vengono posti i codici per la lettura e la meditazione. (Data la preziosità degli stessi - bisognava uccidere un gregge di pecore per ottenere dalla loro pelle la pergamena necessaria per un solo codice, inoltre erano scritti a mano e miniati - nessuno, se non l'abate e il bibliotecario, aveva accesso alla biblioteca).
All'armarium segue la sala capitolare (o sala del Capitolo), dove, appunto, il cistercense, ogni giorno, ascolta un capitolo della regola e dove discute i problemi della comunità o elegge le varie cariche del monastero. Dopo la Chiesa questa sala è la più sacra del monastero: in Chiesa si ascolta la Parola di Dio, in capitolo quella di S. Benedetto. In chiesa la comunità incontra Cristo Capo e Sposo, in capitolo la comunità monastica si rinnova e si santifica purificandosi e rendendo sempre più perfetta la vita regolare, che è il suo «essere chiesa»: Corpo Mistico di Cristo, che l'abate, segno di Cristo capo, deve guidare, riconoscendo i carismi dei singoli monaci e armonizzandoli per l'utilità comune. Fa sempre tenerezza vedere che nei primi documenti le comunità monastiche cistercensi amavano definirsi «ecclesia» (Ecclesia Cisterciensis: la comunità di Citeaux; ecclesia Claraevallensis: la comunità di Clairvaux).
Dopo il capitolo il «locutorium» o parlatorio, dove i monaci possono dialogare tra loro o con i superiori o con gli ospiti.
Accanto al locutorium lo «scriptorium», dove si trasmette la liturgia e la cultura per mano dei monaci più istruiti copiando codici liturgici, spirituali o culturali. Lo scriptorium è collegato da una parte con la biblioteca, e dall'altra con il «calefactorium» una grande sala riscaldata da un enorme camino ai bordi del quale i monaci tengono le ampolle degli inchiostri per mantenerli alla densità giusta.
Come si vede dalla scansione degli ambienti, il lato est del monastero, vede un lento passaggio dalla parte dell'«ora» a quella del «labora».
II lato est collega agli ambienti del lato sud, e se il nord evoca la morte, il sud evoca la vita. Ecco che i laboratori, dalle arti più nobili a quelle più grossolane, sono in genere posti a sud. Ma per vivere si deve anche mangiare! Nessuna meraviglia che i refettori (dei coristi e dei conversi) cistercensi siano posti, quindi, a sud, perpendicolari al chiostro, e che tra l'uno e l'altro ci sia la cucina.
II lato ovest è occupato dal «cellarium» o magazzino delle derrate. È anche il lato dove sorge la facciata della Chiesa e, separata dal complesso monastico, la foresteria.
Se si tiene presente che nel rito antico dell'iniziazione cristiana, la notte del Sabato Santo, le promesse battesimali venivano fatte dai catecumeni rivolti verso ovest (le rinunce) e rivolti verso est (le professioni di fede) diventa chiaro perché questi ambienti che hanno un po' «a che fare col mondo» siano posti a questo punto cardinale. II cristiano, e a maggior ragione il monaco, vive nel mondo ma non è del mondo. Deve servirsi dei beni materiali e dei frutti della terra per vivere, ma con distacco, deve servire gli ospiti come Cristo stesso, ma questi poi ritornano nel mondo cui il monaco ha rinunciato, quel mondo dove spesso si vive di quelle realtà che con le promesse battesimali si sono abbandonate e del quale non si deve parlare in monastero, soprattutto quando i monaci ritornano da un viaggio compiuto per necessità.
Dove però si vede più chiaramente l'insegnamento di Bernardo sulla spiritualità monastica è nella struttura della chiesa cistercense: di Fontenay in particolare. Questo edificio ha la facciata asimmetrica, poi la navata principale in sette campate. Solo le finestre basse (Bernardo non vuole finestre alte nella navata principale) illuminano con delle «lame di luce» la semioscurità della navata centrale, l'ultima parte della quale è occupata dal coro. Ma questa zona della chiesa: coro, transetto e abside principale è tutta una festa di «pura luce»: cinque enormi finestre gotiche si aprono nell'arco che sovrasta l'abside e altre sei nel muro dell'abside. La Chiesa, asimmetrica in facciata, è ora perfettamente simmetrica, regolare e luminosa.
Perché Bernardo vuole la chiesa fatta così?
Per lui la Chiesa abbaziale simboleggia il cammino spirituale del monaco.
La facciata asimmetrica, gli ricorda lo stato della sua anima che ha perso l'equilibrio tra immagine e somiglianza di Dio... il Quale, per sua grazia lo ha chiamato a ritornare dalla «regio dissimilitudinis» per iniziare l'opera di conversione, lenta e faticosa, fatta di momenti di luce brevi e intensi (le «visite del Verbo» all'anima) e di profondi, sofferti, penosissimi momenti di buio e di aridità: tutto ciò è simboleggiato dalla navata semioscura pervasa da «lame di luce» che dalle sole finestre basse delle navate laterali segnano il corso della navata centrale.
Le sette campate simboleggiano i sette vizi capitali che il monaco deve sconfiggere convertendosi alle virtù opposte prima di giungere alla piena comunione con Dio e con i fratelli, e prima di raggiungere l'equilibrio primordiale a immagine di Cristo.
Giungendo al luogo del coro e del presbiterio ecco che la chiesa si fa regolare, equilibrata simmetrica e luminosa: lì, infatti, il monaco incontra Dio otto volte al giorno, per l'Ufficio divino e la Messa, lì viene illuminato da Cristo (il vero Sole), lì, nell'ascolto della Parola, nella salmodia corale, e nutrendosi dell'Eucaristia, lentamente la sua anima riacquista la bellezza e l'equilibrio originari. Il Monaco cistercense, nuovo Adamo rimodellato sull'immagine di Cristo: «vero nuovo Adamo» nel corso di questo cammino di conversione ritrasforma poi necessariamente, col sudore della sua fronte, il caos della palude e del bosco attorno al monastero in un nuovo Eden: in un giardino dove la natura, bella e ordinata, provoca in chiunque la osservi il contatto immediato con il creatore. Ecco la via monastica per eccellenza: la bellezza porta a Dio immediatamente attraverso la contemplazione e si privilegia l'affectus piuttosto che l'intellectus.
Alla luce di queste povere riflessioni si può meditare una massima di S. Bernardo: «Ubi confessio ibi pulchritudo»: dove c'è la confessione lì c'è anche la bellezza. E la frase vale anche nel duplice significato della parola «confessio»: la confessione dei propri peccati e la conversione sincera rende belli di fronte a Dio e agli uomini, perché la grazia può invadere totalmente la persona. Ma anche intendendo «confessio» come testimonianza cristiana si apre la prospettiva della bellezza di una comunità che vive sulla terra ma rimanda agli splendori della vita eterna... al paradiso... e qui, forse, Cluny e Citeaux parlano la stessa lingua e comunicano lo stesso messaggio, l'una con lo splendore esterno degli edifici e della liturgia; l'altra con una vita pura, semplice e povera che però penetra nel profondo dei cuori a tal punto da «impregnare» anche le pietre che servono a costruire il monastero.

P. Gabriele M. Checchi o.cist.

Monaco del monastero cistercense di Tiglieto (GE)

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