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lunes, 23 de junio de 2014

La terminologia, le parole e i concetti in teologia

La terminologia, le parole e i concetti in teologia
(secondo la tradizione ortodossa)

I padri sottolineano il fatto che tutte le parole e tutti i concetti
che l’uomo possiede sono creazioni dell’intelligenza umana:
non scendono, cioè, dal cielo. Non è D-o medesimo a creare
negli uomini né i concetti né le parole. Da questo punto di vista,
i padri evidenziano, ponendo a fondamento la propria esperienza
della divinizzazione, che ogni lingua umana è un prodotto
umano. L’uomo è colui che la creato la lingua con la quale
comunica con gli altri esseri simili a sé. Non esiste una lingua
divina. D-o, cioè, non ha la sua propria lingua, che avrebbe dato
all’uomo, né comunica con l’uomo con una qualche lingua particolare, che egli consegnerebbe a coloro con cui si rapporta. La lingua è frutto delle necessità umane. Essa è stata, cioè, modellata dagli uomini per servire ai rapporti e ai bisogni di comunicazione degli uomini.
La lingua, pertanto, non è ciò che sostengono Dante, parecchi
protestanti, così come i teologi franchi del medioevo, né ciò che
dicono i musulmani a proposito del Corano (il Corano e la sua lingua sarebbero discesi dal cielo; esisterebbe, anzi, in cielo il
Corano increato, ecc.). Su questo tema conosciamo anche l’importante discussione tra san Gregorio di Nissa e gli eunomiani.
Questi ultimi credevano nell’esistenza di una lingua divina che
D-o avrebbe rivelato ai profeti. A tale lingua – dicevano – appartengono i nomi di D-o riportati dai profeti. Essi asserivano che i nomi di D-o sono l’essenza di lui e che questi nomi, citati dalla Sacra Scrittura, sono veicoli di concetti che corrispondono alla realtà che è D-o. Naturalmente, ciò è al di fuori di ogni verità.
In base a quanto sopra si è detto, non possiamo distinguere
tra lingua divina e lingue umane. Non vi è alcuna lingua divina
con la quale D-o parla agli uomini. Né vi è un modo per distinguere quali termini siano adatti alla teologia e quali no. Non
esiste una chiara distinzione tra terminologia ammissibile e
inammissibile. L’unico criterio che può essere usato nella terminologia relativa a D-o è il criterio della convenienza. Vale a
dire: ci sono nomi che non è conveniente utilizzare nel caso di
D-o (D-o è un bricconcello, ad esempio), mentre altri sono convenienti e possono essere adoperati quando parliamo di lui
(D-o è Luce, ad esempio).
Entro questa cornice, l’intera gnoseologia patristica, che è
puramente sperimentale, è qualcosa che, almeno per gli ortodossi,
forse anche per gli altri cristiani, risulta assai utile.
Si potrebbe anzi dire che essa risulta, altresì, assai moderna.
Perché, quando i padri scrivevano ciò che scrivevano non
sospettavano che si sarebbe più tardi sviluppata una tradizione
franca, che avrebbe riconosciuto in Agostino il suo plasmatore.
I padri dell’oriente, infatti, non conoscevano Agostino. Ma
anche coloro che di lui sapevano qualcosa, non gli hanno dato
molta importanza, almeno nei primi anni. Non lo avevano letto
e nemmeno immaginavano che sarebbe sorta un’intera tradizione
occidentale tra goti, franchi, longobardi, normanni, ecc.,
che avrebbe avuto come sua guida esclusiva in teologia
Agostino, il quale, disgraziatamente, aveva abbracciato la gnoseologia platonica, neoplatonica e aristotelica. Il che significa
che la gnoseologia di Agostino, cioè il metodo della teognosia
che egli applicava, era totalmente differente da quello dei padri
della Chiesa, essendo puramente aristotelico-platonico.
Ciò che distingue la teologia di Agostino dalla restante teologia
dei padri è il fatto che egli accoglie nella sua teologia l’essenza
del platonismo, che sono gli archetipi di Platone. Il fatto,
cioè, che tutte le cose presenti nel mondo sarebbero copie di
qualche archetipo. Naturalmente, ciò è qualcosa che i padri
respingono. Non solo: esiste una scomunica dal corpo della
Chiesa per quanti accettano gli archetipi di Platone, perché
questa loro accettazione è una forma di idolatria 1. Oggi non so
se vi sia una persona seria che faccia proprio un insegnamento
di tale natura.
In base a quanto detto, si può osservare che, per gli ortodossi,
non vi è una distinzione tra secolare e religioso nell’ambito
della terminologia. Non esistono, cioè, parole secolari e parole
religiose, ma solo parole secolari, che sono utilizzate, purché
convenienti, nei concetti riguardanti D-o.
Notiamo, così, che D-o – Jahveh – nell’Antico Testamento è
descritto come roccia. Ma è davvero D-o una roccia? Nello spirito
della filosofia platonica, bisognerebbe usare soltanto
espressioni concettuali 2, quali intelletto, ragione, mente, ipo-
stasi, essenza, trinità, unità, ecc. La Sacra Scrittura si serve di
termini come monte, rupe, pietra, acqua, fiume, cielo, sole, ecc.
Se esaminiamo, cioè, l’Antico Testamento, vediamo che vengono
attribuiti molti nomi a D-o che non sono tratti dalla figura,
dalla natura dell’uomo, ma dalla creazione irrazionale. L’azione
di D-o viene descritta nei termini di nube, fuoco, luce, ecc.
Alla tradizione ebraica anteriore ai profeti, ma anche ai profeti,
era noto che D-o non ha un’immagine nella creazione
materiale. L’uomo non può costruirsi un’immagine di D-o.
Nell’Antico Testamento è proibita qualsiasi raffigurazione di
lui. Nell’Antico Testamento gli ebrei non avevano immagini.
L’unica immagine identica (aparállaktos) di D-o è il Verbo di
D-o che si è fatto uomo, cioè il Cristo. D-o, se si eccettua lui – se
si eccettua il Cristo –, non ha altre immagini. L’uomo comune
non è immagine di D-o. Solo il D-o-uomo Gesù Cristo è immagine
di D-o. Nulla, eccezion fatta per Cristo (secondo la sua
natura umana), è immagine di D-o nel mondo creato 3.
Per questa ragione dunque, perché, cioè, D-o non ha alcuna
realtà a lui somigliante all’interno del mondo creato e perché
non esistono, all’interno del mondo creato, concetti che possano
esprimere lui e identificarsi con lui, siamo liberi di prendere
qualsivoglia nome e qualsivoglia concetto, e di attribuirli a D-o,
ma in modo apofatico, negativo. Ossia: da un lato, attribuiamo
un nome a D-o e, dall’altro, glielo togliamo. Diciamo, ad esempio,
che D-o è Luce. Al tempo stesso, tuttavia, operiamo anche
la sottrazione (l’aphaíresis) dicendo che D-o è altresì tenebra
(oscurità). Affermiamo ciò non perché D-o non sia Luce, ma
perché egli trascende la luce. D-o non è privazione, ma superamento.
Ciò, tuttavia, sarà meglio chiarito più in là.
Qui siamo in presenza di una differenza essenziale tra la teologia
apofatica dei padri della Chiesa e quella dei teologi scolastici
del medioevo occidentale, che è ancora presente nei loro
manuali. Se esaminiamo i manuali di dogmatica dei teologi
romano-cattolici, osserviamo il seguente paradosso: essi sostengono che c’è una via che ci permette di attribuire dei nomi a D-o e ce n’è, del pari, un’altra, quella negativa, nella quale priviamo D-o di questi nomi, non per non attribuirglieli ma per purificarli da tutte le loro imperfezioni.
Nulla di simile, tuttavia, riscontriamo nei padri della Chiesa,
nei quali il metodo di attribuzione di nomi a D-o è semplice.
Essi, cioè, danno nomi e tolgono nomi. Vale a dire: si servono
di antitesi. Questa regola sovverte l’intera filosofia aristotelica.
Poiché i padri aboliscono la legge di non contraddizione di
Aristotele 4, quando parlano di D-o e gli attribuiscono qualità
antitetiche.
Ciò significa che i padri non accettano le regole della logica
allorché si occupano di questioni teologiche, cioè di questioni che
riguardano D-o. Perché? Perché le regole della logica valgono, per
quanto possano valere, solo per le creature di D-o. Per D-o non
valgono regole della logica o della filosofia. Nessun sistema filosofico può essere a lui applicato, come pure nessun sistema logico.
Quanti ritengono di poter procedere con la matematica pura
nei confronti di D-o sono assolutamente ingenui agli occhi dei
padri. Semplicissimamente perché non vi è alcuna somiglianza
tra creato e increato. Ciò che vale per le realtà create non vale per
la realtà increata che è D-o. Non esistono, infatti, regole delle
creature che possano essere applicate all’increato.
Tutto ciò che i padri affermano in ordine a D-o non proviene
da una riflessione filosofica. Essi, cioè, non siedono nei loro
uffici per fare teologia, al modo scolastico. I padri della Chiesa
vietano a se stessi ogni investigazione speculativa quando devono
teologare. Per questo l’unico modo sensato di studiare la
Sacra Scrittura non è la speculazione (cercare, cioè, con la facoltà
razionale e l’astrazione di comprenderla) ma la preghiera.
Quale preghiera, tuttavia? La preghiera intellettiva. Perché,
quando viene lo Spirito Santo e visita l’uomo e prega nel cuore
dell’uomo, quest’ultimo è illuminato e diventa capace di comprendere rettamente i concetti dell’Antico e del Nuovo
Testamento, e di essere condotto, da illuminato qual è, fino alla
divinizzazione.
E allorché e poiché è giunto alla divinizzazione, conosce dall’esperienza stessa della divinizzazione cosa significano precisamente le parole e i concetti che incontra nella Sacra Scrittura.
Abbiamo qui una chiave ermeneutica: le parole e i concetti che
 vengono utilizzati nella Bibbia dai divinizzati che l’hanno scritta,
come pure le parole e i concetti che vengono utilizzati nelle
opere dei padri della Chiesa e dei santi, sono divinamente ispirati
nel senso che tutte queste persone hanno l’esperienza o
dell’illuminazione o della divinizzazione e sulla base di detta
esperienza hanno scritto ciò che hanno scritto. Ossia: poiché
esse hanno questa esperienza, ciò che hanno scritto è divinamente
ispirato.
_








Note:

1. «Per quanti, assieme ad altre invenzioni mitologiche, di loro iniziativa ricreano anche la creazione nostra e accettano come vere le idee platoniche…: anatema!
» (Synodikón dell’ortodossia).

2. Cioè termini con un contenuto spirituale (non materiale) in riferimento a D-o.

3. Adamo è stato creato a immagine di Cristo. L’uomo, per essere precisi, non è immagine di D-o, ma è immagine di Cristo.

4. Una legge della logica di Aristotele, secondo la quale una cosa non può essere al tempo stesso il suo contrario. Una cosa, cioè, non può essere contemporaneamente nera e bianca.
O è nera o è bianca. Non può essere di entrambi i colori.




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