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viernes, 7 de junio de 2013

eremiti celestini


Congregazione dei Celestini

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Lo stemma dell'ordine: una croce con una S (Spirito Santo) sull'asta inferiore

Celestino V

L'eremo celestiniano di San Bartolomeo in Legio, presso Santo Spirito a Majella

L'abito dei monaci celestini
La Congregazione dei Celestini (in lingua latina Congregatio o anche Ordo Coelestinorumsigla O.S.B. Coel.) fu fondata da Pietro del Morrone: detti originariamente fratelli di Santo Spirito o majellesi (dal monastero di Santo Spirito a Majella, loro primo insediamento) e poi morronesi (dal monastero del Morrone, sede dell'abate generale della congregazione), i monaci assusero il nome di celestini dopo il pontificato e la canonizzazione del fondatore (che fu papa con il nome di Celestino V).

Indice

Le origini

Attorno al 1240 il monaco benedettino Pietro, proveniente dall'abbazia molisana di Santa Maria di Faifoli, si stabilì sulla Majella allo scopo di rafforzare l'osservanza regolare per mezzo di una vita eremitica. Qualche anno più tardi fondò, presso il castrum di Roccamorice, l'eremo di Santo Spirito a Majella: la tradizione ne fa risalire la fondazione al 29 agosto 1248 (festa della decollazione del Battista).[1]
Attorno a Pietro si sviluppo presto una comunità di eremiti, la cui esistenza è documentata per la prima volta il 23 maggio 1259, quando le autorità cittadine di Sulmona donarono ai frati Giacomo e Giovanni, rappresentanti legali di Pietro, un terreno in località Morrone;[2] il 5 giugno successivo il vescovo di Valva e il capitolo di San Panfilo di Sulmona concessero agli eremiti il permesso di edificare una chiesa dedicata alla Vergine.[3]
L'esperienza religiosa di Pietro e dei suoi discepoli aveva avuto fino ad allora un carattere indipendente e irregolare ma il suo sviluppo comportò la necessità di istituzionalizzare la loro forma di vita e di ottenere il riconoscimento pontificio.

L'approvazione di papa Urbano IV

Con la bolla Cum sicut del 1º giugno 1263,[4] papa Urbano IV diede mandato al vescovo di Chieti di incorporare l'eremo di Santo Spirito all'ordine benedettino; il giorno seguente, con la bolla Sacrosancta Romana Ecclesia,[5] il pontefice concesse alla comunità la protezione apostolica e ne confermò i beni.
Il documento è interpretato in diversi modi dagli storici: alcuni ne attribuiscono l'iniziativa al papa e inseriscono il mandato di Urbano IV in un contesto di scontro tra istanze eremitico-pauperistiche e inquadramento istituzionale da parte delle gerarchie ecclesiastiche,[6] altri richiesto e propendono per un riconoscimento giuridico perseguito da Pietro del Morrone e dai suoi compagni.[7]
Poiché la diocesi di Chieti in quegli anni versava in una situazione difficile (era il periodo dello scontro tra Federico II e il papato), l'incorporazione della comunità nell'ordine benedettino tardò a essere effettuata. Nicola da Fossa, da poco insediato sulla sede vescovile di Chieti, diede esecuzione al mandato papale il 21 giugno1264.[8]
Dal 1270 gli eremiti della Majella cominciano ad acquisire un numero sempre più rilevante di proprietà: terreni, case e soprattutto enti ecclesiastici, spesso dotati di un discreto beneficio.

La conferma dell'ordine di papa Gregorio X

La costituzione Religionum diversitatem nimiam del concilio di Lione II,[9] che segnò la fine della proliferazione delle istituzioni religiose (confermò i frati minori e ipredicatori ma congelò la situazione degli eremitani e dei carmelitani in attesa di ulteriori decisioni):[10] benché le comunità dipendenti da Santo Spirito a Majella (sparse nelle diocesi di Chieti, Sulmona, IserniaAnagniFerentino e Sora) fossero inquadrate entro l'ordine benedettino e non avessero quindi nulla da temere, Pietro si recò aLione per difendere la sua posizione (probabilmente perché c'erano dubbi sulla legittimità dell'incorporazione effettuata dal vescovo Nicola, ormai entrato in contrasto con il papa).[11]
Il 22 marzo 1275 papa Gregorio X rilasciò alla comunità un privilegio (Religiosam vitam)[12] che sancì il passaggio di quello che ormai era definito l'Ordo Sancti Spiritus de Majella da realtà ermitica a ordine monastico costituente, all'interno el composito ordine benedettino, un gruppo religioso con consuetudini ben precise.

Espansione della congregazione

I monasteri dipendenti da santo Spirito a Majella si diffusero rapidamente in AbruzzoMoliseTerra di LavoroCapitanata e Lazio (i cosiddetti majellesi ottennero anche i monasteri romani di San Pietro in Montorio e Sant'Eusebio all'Esquilino): la crescita insediativa dell'ordine determinò la necessità di una migliore organizzazione interna il cui aspetto più evidente è l'istituzione della carica di abate generale. La necessità di continui contatti dei monasteri con l'abate generale portò (tra il 1292 e il 1293) al trasferimento della sede generalizia da Santo Spirito a Majella al monastero di Santo Spirito al Morrone, presso Sulmona.[13]
Pietro del Morrone divenne un personaggio molto noto e il 5 luglio 1294 venne eletto papa: parecchi monaci del suo ordine vennero chiamati a ricoprire importanti cariche presso la curia romana. Bartolomeo da Trasacco divenne camerario, mentre Francesco da Atri e Tommaso d'Ocre vennero creati cardinali.
Pietro assunse il nome di Celestino V e con la lettera Etsi cunctos (27 settembre 1294)[14] confermò gli statuti morronesi e assegnò all'abate generale prerogative quasi vescovili. Il suo successore Bonifacio VIII nel 15 maggio 1297 confermò, con la bolla In eminenti,[15] l'immediata dipendenza dell'abbazia di Santo Spirito alla Chiesa romana.
Dal pontificato del fondatore l'ordine non trasse reali benefici e l'unico monastero eretto in quegli anni è quello di Santa Maria della Civitella di Chieti.
Agli inizi del Trecento l'ordine si diffuse nella Francia settentrionale e in Lombardia: l'insediamento dei celestini oltralpe non fu deciso in seno all'ordine, ma fu voluto daFilippo IV il Bello al fine di nobilitare la figura di Celestino V, considerato vittima del suo avversario Bonifacio VIII; fu il sovrano a fornire terre, denaro e mezzi ai monaci per fondare le abbazie di Santa Maria di Ambert, nella foresta d'Orléans, e di San Pietro di Mont-de-Chastres, nella foresta di Compiègne.[16] Guglielmo de Longhi, che da papa Celestino aveva ricevuto la porpora cardinalizia,[17] fece fondare a Bergamo il monastero di San Nicolò di Plorzano, affidato ai monaci morronesi;[18] fu probabilmente lo stesso cardinale, grande promotore del culto di san Pietro Celestino, a favorire l'insediamento dei monaci anche a Milano, dove i celestini ottennero nel 1317 una chiesa e degli edifici già appartenenti ai serviti, posti nella zona di Porta Orientale.[19]
Nel capitolo generale del 1320 vennero elaborate le costituzioni approvate il 25 marzo 1321 da papa Giovanni XXII con la bolla Solicitudinis pastoralis. La struttura organizzativa venne modellata su quella degli ordini cistercense e minoritico: al vertice della congregazione, inquadrata nell'Ordine benedettino, era posto l'abate di Santo Spirito di Sulmona; i singoli monasteri erano retti da un priore che, assieme a un delegato per ogni monastero, formavano il capitolo generale che si riuniva ogni tre anni per eleggere il nuovo abate generale.[20]
I regolamenti dei monaci imponevano l'astinenza perpetua dalle carni e la recita del mattutino durante la notte; l'abito dei monaci era costituito da tonaca bianca conscapolarecappuccio e cocolla neri.[20]

Decadenza e soppressione

Subito dopo il 1320, l'ordine intraprese una forte espansione e, nel corso del XIV secolo, i celestini fondarono monasteri in quasi tutta l'Italia centro-settentrionale, infittirono la rete delle presenze in Italia meridionale (esclusa la Sicilia).
I celestini arrivarono a contare in Francia circa venti monasteri, che ottennero poi da papa Clemente VII il permesso di costituirsi in congregazione autonoma. Altre case vennero stabilite in Boemia e Germania, ma venero tutte dissolte con la riforma protestante. La congregazione francese scomparve con la Rivoluzione; i monasteri del regno di Napoli vennero soppressi nel 1807 e quelli nel resto d'Italia nel 1810.[21]
Sopravvissero solo due monasteri femminili: quello di San Basilio all'Aquila e quello di San Ruggero a Barletta (il ramo femminile dell'ordine è ancora fiorente).[22]
Dei tentativi di ricostituire l'ordine vennero effettuati da Giovanni Aurélien nel 1873 e da Achille Fosco nel 1935, ma entrambi fallirono.[23]

Note

  1. ^ V. Zecca, Memorie..., pp. 22-23.
  2. ^ Codice diplomatico Celestino, n. 7.
  3. ^ Codice diplomatico Celestino, n. 8.
  4. ^ Codice diplomatico Celestino, n. 10.
  5. ^ Codice diplomatico Celestino, n. 11.
  6. ^ È l'ipotesi sostenuta da F. Baethgen (Beiträge..., pp. 272-273), A. Moscati (I monasteri..., pp. 106-107), U. Paoli (Fonti, p. 7, nota 13).
  7. ^ Per tale ipotesi propendono P. Herde (Celestino V, pp. 12-13), L. Pellegrini (Le religiones novae, pp. 328-329).
  8. ^ Codice diplomatico Celestino, n. 15.
  9. ^ Conciliorum Oecumenicorum Decreta, p. 326-327.
  10. ^ L. Pellegrini, Le religiones novae (2005), p. 27.
  11. ^ P. Herde, Celestino V, p. 15.
  12. ^ Codice diplomatico Celestino, n. 39.
  13. ^ Codice diplomatico Celestino, n. 165.
  14. ^ Codice diplomatico Celestino, n. 211.
  15. ^ Codice diplomatico Celestino, n. 284.
  16. ^ U. Paoli, Fonti..., pp. 21-22; K. Borchardt, Die Cölestiner, pp. 73-75.
  17. ^ P. Herde, Celestino V, pp. 224-225.
  18. ^ Codice diplomatico Celestino, nn. 458 e 462.
  19. ^ Codice diplomatico Celestino, nn. 440 e 448.
  20. ^ a b V. Cattana, DIP, vol. II (1975), col. 734.
  21. ^ V. Cattana, DIP, vol. II (1975), col. 733.
  22. ^ G. Marinangeli, DIP, vol. II (1975), col. 727.
  23. ^ G. Marinangeli, DIP, vol. II (1975), col. 728.

Bibliografia

  • Codice diplomatico Celestino. Regesti dei documenti († 1249-1320).
  • Friedrich Baethgen, Beiträge zur Geschichte Cölestins V., M. Niemeyer Verlag, Halle 1934.
  • Peter Herde, Celestino V (Pietro del Morrone), 1294. Il papa angelico (a cura di Quirino Salomone), Edizioni Celestiniane, L'Aquila 2004.
  • Anna Moscati, I monasteri di Pietro Celestino, «Bullettino dell'Istituto storico italiano per il medioevo e Archivio Muratoriano», 68 (1956), pp. 91-163.
  • Ugo Paoli, Fonti per la storia della Congregazione Celestina nell'Archivio Segreto Vaticano, Badia di Santa Maria del Monte, Cesena 2004.
  • Luigi Pellegrini, «Che sono queste novità?». Le religiones novae in Italia meridionale (secoli XIII e XIV), Liguori, Napoli 2005ISBN 88-207-2979-2.
  • Guerrino Pelliccia e Giancarlo Rocca (curr.), Dizionario degli Istituti di Perfezione (DIP), 10 voll., Edizioni paoline, Milano 1974-2003.
  • Vincenzo Zecca, Memorie artistiche istoriche della Badia di S. Spirito sul monte Maiella con cenni biografici degl'illustri monaci che vi dimorarono ed un'appendice sulla Badia del Morrone presso Sulmona, tip. all'insegna del Diogene, Napoli 1858.

Eremo di Santo Spirito a Majella

Comune:  Roccamorice
Tipologia:  Eremo celestiniano
Come arrivare:  A24/A25 RM-PE uscita Alanno-Scafa/ proseguire in direzione Caramanico/ Roccamorice da Napoli: A1 NA-RM uscita Caianello/ seguire indicazioni per Castel di Sangro/ Roccaraso/ Sulmona/ A25 direzione Pescara uscita Alanno-Scafa/ proseguire in direzione Caramanico/ Roccamorice
Notizie:  Il cenobio rupestre di Santo Spirito è sicuramente il più grande e famoso di tutta la Majella, e anche se nel corso dei secoli ha subito diverse trasformazioni, mantiene ancora il fascino dovuto alla stupenda posizione nella valle omonima. La badia sorge nella parte alta della valle di Santo Spirito a circa un'ora di cammino dai prati della Majelletta ed è raggiungibile, attraverso un ripido percorso, dal paese di Roccamorice. Non esiste una data precisa della sua origine, anche se si suppone sia anteriore all'anno Mille. La prima presenza nota è quella di Desiderio, il futuro papa Vittore III, che vi dimorò, insieme ad altri eremiti, nel 1053 e vi costruì una chiesetta. In seguito, nel 1246, fu dimora di Pietro da Morrone, futuro papa Celestino V, che, trovandola in pessime condizioni, iniziò i lavori di ristrutturazione. Si data in quell'anno la costruzione dell'oratorio e di una piccola celletta. Il passare del tempo e l'incremento della comunità costrinsero a realizzare un secondo oratorio ed altre cellette. L'impianto costruttivo utilizzato richiama l'edilizia camaldolese, un riferimento che l'eremita avrà presente anche per la costruzione di più grandi monasteri. Una lettera datata 1 giugno 1263 riporta che papa Urbano IV da Orvieto incaricò il vescovo di Chieti, Nicola di Fossa, di adoperarsi affinché i monaci dell'eremo di Santo Spirito fossero incorporati nell'Ordine di San Benedetto, come lo stesso Pietro aveva richiesto. Nel 1278 il vescovo Nicola concesse l'autonomia all'eremo che, con il titolo aggiuntivo di monastero, rimase a capo dell'Ordine fino al 1293. Nel Trecento la storia del monastero ricorda la presenza di illustri personaggi: il beato Roberto di Salle, priore dal 1310 al 1317, ed il rivoluzionario Cola di Rienzo, che nel 1347 vi trascorse alcuni mesi. L'eremo è citato anche nel De vita solitaria del Petrarca, dove è descritto come luogo solitario, adatto all'ascesi spirituale. I secoli successivi, a causa delle difficoltà economiche e climatiche, fecero da scenario al suo lento declino. Solamente nel 1586, grazie al monaco Pietro Santucci da Manfredonia, la vita religiosa dell'eremo riprese vigore: l'eremo ottenne il titolo di Badia e venne costruita la Scala Santa che conduce all'oratorio di Santa Maria Maddalena. Il Santucci fu anche fautore della traslazione, avvenuta l'11 aprile 1591, delle ossa di San Stefano detto Lupo dal monastero di Vallebona presso Manoppello a S. Spirito. Sul finire del XVII secolo il principe Caracciolo di San Buono fece costruire un edificio a tre piani e la foresteria. Nel 1807, a causa della soppressione delle comunità monastiche, il monastero venne di nuovo abbandonato, spogliato dei beni e dato in preda alle fiamme. Nel corso del XIX secolo si è cercato più volte di recuperare il complesso ma sempre con scarsi risultati, e solamente per opera di alcuni fedeli di Roccamorice, negli ultimi anni dell'800, fu restaurata la chiesa. Numerosissime sono le leggende legate a questo luogo di culto ed in particolare alla figura di Pietro da Morrone: storie di diavoli, di profanazioni sacrileghe e di esemplari punizioni. Un tempo numerose compagnie di pellegrini giungevano alla badia risalendo la valle o valicando la montagna; oggi solo in occasione dell'apertura della Perdonanza, il 29 agosto, si può notare una discreta partecipazione dei devoti. Allo stato attuale, dell'eremo si conservano la chiesa, la sagrestia ed un'ala abitativa distribuita su due piani, composta dalla foresteria e dalle cellette. La chiesa, descritta accuratamente dal Zecca nell'Ottocento, presentava con molta probabilità un portico composto da due archi di ordine toscano semplice. L'ingresso, restaurato dal Santucci alla fine del '500, reca l'iscrizione "Ecclesia haec S. Spiritui ab Angelis consecrata, Aegris Medicina est, et Christi Fidelibus Dimittit Peccata Omnia" ed al centro "Porta Coeli". Il bel portale in legno, la statua di San Michele Arcangelo e il tabernacolo sono opera di Giuseppe Di Bartolomeo di Roccamorice che vi lavorò in occasione della riapertura al culto della chiesa nel 1894. All'interno della chiesa il presbiterio, la parte più antica, mostra archi a sesto acuto evidenziati da costoloni; due porticine poste a lato dell'altare portano al coro. Delle due lapidi nominate dallo Zecca, poste sulla parete di sinistra, non rimane che il frammento riguardante la dedicazione; l'iscrizione perduta, invece, ricordava l'indulgenza plenaria concessa da papa Benedetto XIV nel 1742. Con la soppressione del monastero alcune opere pregiate vennero trasferite nella chiesa del paese e solo di recente sono state ricollocate al romitorio. Tra queste opere ricordiamo le tele raffiguranti la Madonna ed la Discesa dello Spirito Santo nel Cenacolo, una statua lignea di Cristo, che inizialmente doveva essere custodita nella celletta sottostante la chiesa, il busto di papa Celestino V e due tele ottocentesche raffiguranti San Giuseppe e Sant'Elena. Nella parte bassa della chiesa, completamente scavato nel banco roccioso, troviamo il nucleo originario dell'eremo celestiniano. Esso presenta due ingressi. Il primo conduce ad un piccolo ambiente con altare, noto come stanza del Crocifisso, dove ancora oggi sono visibili tracce di affreschi. Alcuni gradini sulla destra conducono in un'altra piccola stanza, forse il giaciglio di Pietro da Morrone, che è in comunicazione con l'ossario tramite un'apertura murata. Alcuni stretti gradini posti accanto all'ingresso conducono alla sagrestia. Un secondo ingresso introduce in due stanze comunicanti fra loro, riservate alla sepoltura dei principi Caracciolo di San Buono. Gli ambienti che seguono sono più direttamente legati alle esigenze abitative della comunità; un primo blocco è composto da alcune stanzette di servizio al piano terra e da camere al piano superiore. Un secondo settore è formato da sei grossi locali che proseguono in linea con i precedenti e dei quali rimangono per lo più rovine. Una descrizione del convento del 1650 rende bene l'articolato susseguirsi dei vari ambienti e delle loro svariate destinazioni: "È di figura longo, non molto largo, senza chiostri per non essere il sito capace ha però avanti la chiesa un piano che serve per piazza e una fonte; e da dietro altri piani che servono per cortili e di sotto molti orticelli. Oltre la chiesa, Coro, Capitolo e Sagrestia nel primo piano ha tutte le officine necessarie, cioè Cellaro, Refettorio, Panetteria, Forno, Dispense, Cucina, Legnera e Stalla. Nel secondo piano sopra alle officine ha una saletta ed il Scalfatorio, un dormitorio per i monaci di otto camere e sopra a queste altre sei camere per i conversi. Ha di più una Scala, Saletta e stanze per Foresteria". Il terzo edificio, la foresteria, si sviluppa su tre piani e nonostante i danni che anche le sue strutture hanno subìto (i solai sono crollati), mostra ancora una maestosa mole. Si raggiunge attraverso un corridoio ricavato nella roccia che, lungo la parete, presenta una grossa nicchia nel cui interno sono state ricavate tre piccole nicchie. Accanto all'ingresso della foresteria ha inizio la Scala Santa, formata da 31 gradini, che termina fra i ruderi di altri edifici. Vi era anche una cisterna dove confluivano, tramite un eccellente impianto idrico, le acque piovane. Un'altra scala, anch'essa scavata nella roccia, presenta 76 gradini abbastanza uniformi nelle dimensioni, ed è formata da due tratti rettilinei raccordati da una leggera curva e dalla copertura non uniforme. Lungo le pareti rocciose è incisa una Via Crucis. La scala termina al centro di una balconata di notevoli dimensioni, circa 180 metri, interamente coperta. Due brevi scale poste a destra conducono al complesso della Maddalena, un piccolo oratorio ricavato nello sperone interno alla balconata che conserva sopra il portale d'ingresso un rilievo con la raffigurazione di Maria Maddalena. Nell'interno vi è una scalinata, formata da 22 gradini ed illuminata da tre finestre a strombo. Sotto ogni finestrella vi sono ricavate delle piccole nicchie. La chiesa è illuminata da due finestre ed è ancora visibile, sull'altare di fondo, l'affresco della Pietà dipinto nel 1737 dal pittore locale Domenico Gizzonio. A sinistra dell'altare, una porta immette nella sagrestia e in un vano diroccato. Si conserva ancora la piccola scala che porta alla clausura, ovvero una stanzetta di circa 3x3 metri, con una finestra ed un piccolo camino. Il romitorio da circa due anni è abitato dai giovani frati della congregazione del Cerreto, che vivono nell'antico spirito celestiniano di pura semplicità ed ascetico silenzio.
Informazioni:  Municipio tel. 085-8572132
Stato di agibilità:  Agibile

Roccamorice, Eremo di Santo Spirito a Majella
Roccamorice, Eremo di Santo Spirito a Majella, chiesa, facciata
Roccamorice, Eremo di Santo Spirito a Majella, Oratorio della Maddalena
Roccamorice, Eremo di Santo Spirito a Majella, Casa del Principe o foresteria, interno
Roccamorice, Eremo di Santo Spirito a Majella, Stanza del Crocifisso, affreschi
Roccamorice, Eremo di Santo Spirito a Majella, pianta
Roccamorice, Eremo di Santo Spirito a Majella, pianta 2
Roccamorice, Eremo di Santo Spirito a Majella, vista laterale

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