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domingo, 1 de septiembre de 2013

ORA PRO NOBIS


¿POBRE EN ESPIRITU?




Personas sin hogar,
criaturas abandonadas.


Se muere para el frío,

se muere de hambre
y sin memoria !









Los monjes y las monjas :

no mueren de frío,
no mueren de hambre
y mueren ... acompañados.












ORA PRO VOBIS !


domingo, 28 de julio de 2013

La sabiduría de los padres del desierto: Anselm Grün






La sabiduría de los padres
del desierto


Anselm Grün






Introducción 




Espiritualidad desde abajo. 




Permanecer consigo mismo. 




Desierto y tentación. 




Ascesis. 




Callarse y no juzgar. 




El análisis de nuestros pensamientos y sentimientos. 




Modo de tratar con nuestras pasiones. 




Estructuración espiritual de la vida. 




Ponerse todos los días ante los ojos la muerte. 




La contemplación como camino de sanación. 




La mansedumbre como distintivo del hombre espiritual 




Visión global


Dom Esteben Chevevière: El Eremitorio


Dom Esteben Chevevière
El Eremitorio
Espiritualidad del Desierto


ÍNDICE
PRIMERA PARTE: EL DESIERTO
   El Desierto de la noche. El crisol del Desierto

SEGUNDA PARTE: LA MONTAÑA
   El Monte Calvario. El amor de la cruz
   El Monte Carmelo. Los caminos de la oración

TERCERA PARTE: EL TEMPLO
   El Templo eclesial. Presencia en el mundo
   El Templo interior. La inmanencia de Dios
 EPÍLOGO: LA CELDA

viernes, 7 de junio de 2013

Eremiti diocesani

 


Eremiti diocesani : c.d.c. 603


Can. 603 - § l. Oltre agli Istituti di vita consacrata, la Chiesa riconosce la vita eremitica o anacoretica con la quale i fedeli, in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine, nella continua preghiera e penitenza, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo.
§ 2. L'eremita è riconosciuto dal diritto come dedicato a Dio nella vita consacrata se con voto, o con altro vincolo sacro, professa pubblicamente i tre consigli evangelici nelle mani del Vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva il programma di vita che gli è propria.
 





Gli eremiti nel Codice di Diritto Canonico

(da: Le forme individuali di vita consacrata di Jean Beyer S.J.)
Gli eremiti nel Codice hanno il vantaggio di trovarvi una descrizione della loro propria vocazione nella vita consacrata (c. 603, par. 1). La cosa è importante. Partendo dal fatto dell'appello divino riconosciuto dalla Chiesa, essi sono della Chiesa e hanno nel diritto una posizione giuridica certa (3). Canonicamente, per essere riconosciuto eremita, bisogna che questi si impegni nelle mani del Vescovo, con una pubblica professione - attraverso voti o altri sacri legami - alla pratica dei tre consigli evangelici, a vivere uno stile di vita determinato sotto la guida dello stesso Vescovo diocesano.
Questa dipendenza è una obbedienza. Impedisce che l'eremita diventi un girovago. C'è tuttavia una difficoltà a realizzare un tale impegno. Il Vescovo comprenderà ciò che è, come vita consacrata, una vita eremitica? Se già molti religiosi si lamentano per la mancanza di comprensione della loro vita da parte delle autorità diocesane e della difficoltà a vivere il loro proprio carisma, non si può negare che un eremita preferisca non prendere questi impegni e vivere in fedeltà alla sua vocazione questo genere di vita consacrata. Tuttavia, in questo caso, sarà utile e perfino necessario dipendere da un prete - spesso il confessore dell'eremita - informato delle esigenze di un tal genere di vita. Ma questi non è sempre pienamente informato delle esigenze reali di questa vocazione, né dei progressi possibili in questa vita di silenzio e di solitudine. Il progetto del 1977, a questo riguardo, era piú ampio e piú prudente.
L'impegno dell'eremita poteva essere preso in dipendenza da un superiore religioso competente. Questo superiore può essere, se l'eremita è religioso, il suo proprio superiore. Poteva essere anche un superiore religioso da cui dipende un terz'ordine secolare (4). Il testo del c. 92, par. 2 del progetto del 1977 sembra ammettere questa soluzione. Un fatto è certo: un fedele cristiano può essere eremita, se si conforma alle esigenze spirituali ed esterne che pone oggi il c. 603, par. 1. Ciò esige: una separazione piú rigorosa dal mondo, il silenzio della solitudine, una preghiera e una penitenza continue. Una tale vita consacrata si vive per la lode di Dio e per la salvezza del mondo. Quest'ultimo elemento va sottolineato perché mette in evidenza la dimensione apostolica universale di questo dono a Dio e alle anime che suppone questo impegno (5). Essere eremita nella Chiesa, secondo il c. 603, par. 1, è un tipo di vita ecclesiale; gli impegni presi non sono piú semplicemente privati; se sono presi davanti al Vescovo diocesano, questo carattere ecclesiale è rafforzato.
Attenendosi alla normativa del c. 603, par. 2, un religioso, anche monaco, non sarà riconosciuto canonicamente in modo pieno come eremita senza questa professione di vita evangelica fatta nelle mani del Vescovo della diocesi. Le Costituzioni degli Istituti monastici possono tuttavia prevedere un tale impegno come conseguenza di una professione fatta in un Istituto di vita monastica. In questo caso, queste Costituzioni dovranno essere ben redatte e approvate dalla Santa Sede. Il monaco potrebbe essere eremita sulla proprietà del monastero e, avvertendo l'Ordinario del luogo, al di fuori del territorio del suo monastero, in vista di una piú grande solitudine. Come si vede, il fatto di considerare l'eremita nel Codice è un progresso. Il c. 603 non sopprime tutte le difficoltà. Numerose questioni restano aperte. La pratica spesso risolve meglio certi problemi rispetto alla loro discussione teorica. Notiamo, infine, che un eremita che non è religioso, non diventa «religioso» per il fatto della professione che emette nelle mani del Vescovo; questo contrariamente a quanto considerava il c. 92, par. 2 del progetto del 1977 (6).

Due lettrici del blog hanno il desiderio di donarsi a Dio come “eremite diocesane”. Una delle due ha già ottenuto l'approvazione da parte del vescovo della sua diocesi, e tra pochi giorni partirà per un monastero per ricevere una buona preparazione per questo austero genere di vita. Siccome anche un altro lettore mi ha scritto dicendomi che gli piacerebbe vivere in un eremo, ho deciso di scrivere un breve post per parlare degli eremiti diocesani.

Innanzitutto bisogna dire che l'eremita non è una persona asociale che vuole vivere in solitudine perché non si interessa del prossimo. Chi va a vivere in un eremo isolato lo fa perché è mosso dall'amore per Dio, e chi ama Dio ama anche il prossimo, infatti l'eremita offre le sue preghiere e penitenze per la conversione e la salvezza eterna delle anime che vivono nel mondo. Inoltre non vive sempre solo, infatti spesso molti fedeli vanno a trovarlo per pregare insieme a lui e parlare di temi spirituali.

L’eremita diocesano, con l'approvazione del Vescovo, vive in comunione con la diocesi nella quale è “incardinato”, professa i voti di povertà, castità e obbedienza, vive secondo un regolamento di vita approvato dalle autorità diocesane, e veste un abito simile a quello utilizzato negli ordini religiosi. Trascorre la giornata immerso nel silenzio e dedicandosi alla preghiera liturgica, all'orazione mentale, alla lettura spirituale, al lavoro manuale e all'accoglienza dei pellegrini. L'eremita ama la solitudine, poiché nella solitudine è più facile raccogliersi ed elevare la mente al Signore. Nel silenzio e nella solitudine, lo Spirito Santo parla al cuore delle sue anime dilette con parole che infiammano d'amore. La virtù si conserva facilmente nella solitudine, mentre si perde facilmente nel conversare col mondo, ove poco si conosce Dio, e poco conto si fa del suo amore e dei beni che Egli dona a chi lascia tutto per amor suo. È certo che per mantenere l'anima unita con Dio bisogna conservar nella mente le idee di Dio e dei beni immensi che Egli prepara a chi lo ama. Ma quando noi abbiamo contatti col mondo, esso ci presenta le cose terrene, le quali cancellano le idee spirituali e ci privano dei sentimenti di pietà.

I mondani fuggono la solitudine perché nella solitudine si fan sentire i rimorsi delle loro coscienze, perciò costoro vanno cercando conversazioni e distrazioni di mondo. Al contrario, le anime che vivono con pace di coscienza, non possono non amare la solitudine; e quando si trovano tra il baccano del mondo, si sentono come pesci fuor d'acqua. È vero che l'uomo ama la compagnia; ma qual più bella compagnia che quella di Dio! Non apporta né amarezza né tedio l'allontanarsi dalle creature per conversare intimamente col Creatore.

Non è vero che la vita solitaria è vita malinconica; ella invece è un assaggio e principio della vita dei beati che godono un gaudio immenso nell'occuparsi solamente di amare e lodare il loro bel Dio. I santi allorché vivono in solitudine sembrano soli, ma in realtà non stanno soli, stanno con Dio. Sembrano mesti, ma non sono mesti; il mondo, vedendoli lontani dai divertimenti terreni li giudica miseri e sconsolati, ma non è così; essi in realtà godono un'immensa e continua pace. Il Signore ben sa consolare un'anima che conduce una vita ritirata. Ella è sempre piena di gioia e d'allegrezza, e innalza ringraziamenti e lodi alla divina bontà.

ermita SAN MIGUEL DE IZAGA de NAVARRA

 


SAN MIGUEL DE IZAGA de NAVARRA

La ermita de San Miguel se halla cerca de la cumbre de la peña Izaga. Desde su privilegiada posición, la cantidad de territorio que se divisa es increíble. Pequeños pueblos abajo, que apenas se distingue.

La pista precisa de 4x4 y se accede sin dificultad por un bonito trayecto en el que va cambiando la vegetación de nuestro entorno a medida que ascendemos. Arriba es territorio de buitres. Muy cerca del cielo.
Arranca la pista de Zuazu (no estaba en casa quien guarda las llaves. Otra vez será) y transcurren unos cinco kilómetros en ascenso hasta llegar al pie de la ermita.
VISTA DEL TEMPLO DESDE EL SURVISTA DEL TEMPLO DESDE EL SURESTEDETALLE DE LA CABECERA SOBRE LA GRAN EXTENSIÓN DOMINADA
El templo tiene una curiosa forma. Pues por delante de un cuerpo de tres naves, sobre pilares cruciformes y pilastras cilíndricas, hay una especie de nave transepto cuya planta es a modo de una segunda iglesia orientada norte sur, formando su cabecera poligonal el absidiolo sur y los pies, dE planta cuadrada, el del lado norte. Y por delante, el ábside poligonal central del templo. La sensación es que esta compleja estructura se añadió a la nave de un templo que perdió su cabecera. Mide 27 x 14 metros.
ZUAXU DESDE EL TEMPLOERMITA DESDE EL SURCABECERA
A nivel del segundo tramo de la nave, abren sendas portadas en los muros norte y sur. Apuntada la septentrional y de formas de medio punto la meridional, como se advierte en las imágenes.
PORTADA NORTEPORTADA SUR




Elogio a la vida solitaria



Elogio a la vida solitaria

de 




Carta de San Bruno A Raúl le Verd: Preboste del capítulo de Reims


Al venerable señor Raúl, preboste de Reims, envía Bruno sus saludos, con un espíritu de caridad muy puro.



Brilla en ti la fidelidad a una antigua e inquebrantable amistad, tanto más admirable y digna de elogios cuanto más rara es encontrarla entre los hombres. A pesar de la distancia y el tiempo que han separado nuestros cuerpos, jamás tu afecto se ha separado de su amigo. Lo atestigua la extrema amabilidad de tus cartas en las que me repites lo entrañable de tu amistad, los numerosos favores que me has prestado a mí y al hermano Bernardo por mi causa, y otras muchas atenciones. Mi agradecimiento no está, por cierto a la altura de lo que tú mereces, pero brota de la fuente límpida del amor, en pago a tanta bondad.



Un viajero, bastante de fiar en otras ocasiones, salió hace tiempo de aquí llevando una carta que a ti yo te dirigía. Como no ha regresado, me parece justo enviar a uno de los nuestros para que ponga al corriente a tu caridad de mi existencia. Por escrito no me sería posible explicarlo extensamente; de viva voz, él lo hará con todo detalle.



Sepa tu dignidad -y sin duda no te será indiferente- que la salud de mi cuerpo es buena (ojalá lo fuera también la del alma), y que lo concerniente a los asuntos exteriores va todo bien. Pero, en verdad, estoy esperando con insistente oración, un gesto de la divina misericordia que sane mis miserias interiores y colme mi anhelo.



Estoy en Calabria con otros hermanos, hombres religiosos, algunos muy cultos, que montan fielmente una guardia santa, esperando el regreso de su Señor para abrirle apenas llame. Vivo en un desierto, alejado de poblado por todas partes. ¿Cómo hablar de modo adecuado de su encanto, de su aire sano y templado, de la vasta y graciosa llanura que se extiende ente los montes, con sus verdes prados y sus pastos en flor? ¿Quién se atrevería a describir la perspectiva de las colinas que se elevan suavemente por doquier, el retiro de los valles umbríos donde abundan ríos, arroyos y manantiales? Sin contar las huertas de regadío y los vergeles de variados árboles.



Mas, ¿por qué detenerme en estas cosas? Otros son los placeres del sabio, infinitamente más agradables y útiles, porque divinos. Sin embargo, cuando el rigor de la disciplina regular y los ejercicios espirituales fatigan al frágil espíritu, éste suele encontrar solaz y descanso en tales deleites. En efecto, el arco siempre tenso, pierde su fuerza y ya no sirve más.



Cuánta utilidad y gozo divinos aportan la soledad y silencio del desierto a sus enamorados, sólo lo saben quienes lo han saboreado.



Aquí los hombres ardientes pueden, siempre que lo desean, entrar y permanecer en su interior; hacer germinar vigorosamente las virtudes y alimentarse con fruición de los frutos del paraíso.



Aquí se busca activamente aquel ojo cuya límpida mirada hiere al Esposo de amor, el amor puro y transparente que ve a Dios.



Aquí nos acucia un descanso muy ocupado y nos inmovilizamos en una tranquila actividad.



Aquí, por el esfuerzo del combate, concede Dios a sus atletas la esperada recompensa: la paz que el mundo ignora y el gozo en el Espíritu Santo.



Esta es la bella Raquel, tan graciosa, preferida de Jacob aunque le diera menos hijos que Lía, más fecunda pero de ojos apagados. En efecto, los hijos de la contemplación son menos numerosos que los de la acción; pero José y Benjamín son preferidos por su padre a todos sus hermanos.



Esta es la mejor parte escogida por María y que no le será quitada. Esta es la hermosa Sunamita, única doncella elegida en todo Israel, para estrechar en su seno y dar calor al anciano David.



Y tú, hermano mío queridísimo, ¡ojalá la ames sobre todas las cosas, para que prendido en sus abrazos ardas de amor divino! Si naciera en tu alma el cariño por ella, pronto te hastiaría esa seductora y mentirosa halagadora que es la gloria del mundo, rechazarías sin esfuerzo las riquezas cargadas de abrumadoras preocupaciones para el espíritu, y te repugnarían los placeres, tan nocivos al cuerpo como al alma.



Tu prudencia no te permite ignorar quién es el que dijo: "Quien ama al mundo y todo lo que hay en el mundo -es decir, el placer de la carne, los ojos insaciables y la ambición- no lleva dentro el amor del Padre". Y también: "Quien es amigo del mundo, se convierte en enemigo de Dios". Entonces, ¿existe peor desorden, comparable manifestación de un espíritu desviado y degenerado, actitud más funesta y lamentable que erigirse contra aquél cuyo poder es irresistible o cuya justicia se cumple inexorablemente, pretendiendo declararle guerra? ¿Somos acaso más fuertes que Él? Hoy su bondad nos invita, sin desalentarse, a la penitencia, pero ¿quiere eso decir que no acabará por castigar la injuria que cometemos al despreciarle? ¿Hay algo más contrario y más opuesto a la razón, a la justicia y a la misma naturaleza, que amar más a la criatura que al Creador, que buscar los bienes pasajeros más que los eternos, las cosas de la tierra más que las del cielo?



¿Qué hacer entonces, carísimo? ¿Qué hacer sino creer los consejos divinos, creer a la Verdad que no puede engañar? Ella da esta advertencia a todos: "Venid a mí todos los que andáis cargados y agobiados y yo os aliviaré". ¿Y no es una carga terrible e inútil estar atormentado por sus deseos, verse sin cesar maltrecho por las preocupaciones y angustias, por el temor y dolor que engendran tales deseos? ¿Hay carga más abrumadora que aquella cuyo peso, con la mayor injusticia, precipita al alma de la cima de su sublime dignidad hasta lo hondo de la sima? Huye, hermano mío, huye pues de estas turbaciones e inquietudes y pasa de la tempestad de este mundo al reposo y a la seguridad del puerto.



Conocido es de tu prudencia lo que la misma Sabiduría nos dice: "Quien no renuncia a cuanto posee, no puede ser discípulo mío". Cuán hermoso, útil y agradable es frecuentar su escuela, bajo la dirección del Espíritu Santo, para aprender la divina filosofía, única a hacernos verdaderamente felices, ¿quién no lo ve?



Para ti, pues, es de la mayor importancia examinar tu situación con la máxima discreción y prudencia. Y si el amor de Dios no te atrae, si el atractivo de tales recompensas no te conmueve, déjate al menos obligar por el temor de un castigo ineludible.



Bien sabes qué compromiso te ata, y a quién. Poderoso y temible es aquél a quien has hecho voto de entregarte como ofrenda agradable a sus ojos: no tienes derecho a faltarle a la palabra dada, y ni siquiera a ti te interesa hacerlo, pues no soporta que, impunemente, se burlen de Él.



Acuérdate, amigo mío querido: nos hallábamos un día los dos, junto con Fulcuyo el Tuerto, en el jardincillo contiguo a la casa de Adam, en la que por entonces me hospedaba. Los placeres engañosos, las riquezas perecederas de este mundo y las alegrías de la gloria sin término, me parece que ocuparon un rato la conversación. Entonces, inflamados de amor divino, prometimos e hicimos voto de abandonar sin tardanza el siglo fugitivo, para ir en búsqueda de las realidades eternas y recibir el hábito monástico. Todo lo hubiéramos cumplido rápidamente si Fulcuyo no hubiera marchado entonces a Roma; dejamos ejecutarlo a su regreso. Se retrasó, intervinieron otros motivos; se enfriaron los ánimos; el fervor se disipó.



¿Qué hacer entonces, carísimo, sino librarte cuanto antes de tal deuda, si no quieres incurrir en la cólera del Todopoderoso y por lo mismo en atroces suplicios, en castigo a esa tan grave y prolongada falta de palabra?¿Qué poderoso de este mundo dejaría impunemente a uno de sus súbditos defraudarle un don que le hubiera prometido, sobre todo si lo considera de valor excepcional ? Por tanto, presta atención no a mis palabras sino a las del profeta, o mejor dicho a las del Espíritu Santo: "Haced votos al Señor vuestro Dios y cumplirlos, todos los que a su alrededor traéis ofrendas: Él infunde terror, Él deja sin aliento a los príncipes, Él infunde terror a los reyes del orbe". Oyes al Señor, oyes a tu Dios, oyes a aquél que infunde terror, oyes al que infunde terror a los reyes del orbe. ¿A qué viene tal insistencia del Espíritu Santo, si no a urgirte que cumplas el voto que has prometido? ¿Por qué cumplir con pesar, lo que no acarreará ni pérdida ni disminución de tus bienes? Tú serás quién hallarás las máxima ventajas y no aquél a quien entregues lo que le es debido.



No te retengan, pues, las riquezas engañosas incapaces de remediar la miseria, ni el brillo del cargo de preboste que no puede ejercerse sin poner el alma en grave peligro.



Te encuentras ahora constituido administrador de los bienes ajenos y no su propietario. Si los empleas para tu uso personal -no te irriten mis palabras- haces algo tan odioso como injusto. Si el lujo y el fasto te atraen y mantienes un gran tren de vida, ¿no te verás obligado a suplir la escasez de bienes adquiridos honradamente, encontrando el modo de quitar a unos lo que ofrezcas a otros? Y esto no es hacer el bien ni ser generoso, pues no hay nada generoso si no es también justo.



Quisiera que tu dilección se convenciera todavía de otra cosa. Monseñor el Arzobispo pone gran confianza en tus consejos y se apoya gustoso en ellos. Es fácil dar consejos, aunque no todos sean justos o útiles, y la idea de los servicios que le prestas no debe impedirte dar a Dios el amor que le debes. Ese amor, cuanto más justo es, tanto es más útil.



Sí: ¿hay algo más justo y más útil, o mejor dicho, hay algo tan hondamente arraigado y tan plenamente adaptado a la naturaleza humana como amar el bien? ¿Y hay otro ser, fuera de Dios, cuya bondad pueda compararse a la suya? ¿Qué digo: hay otro bien fuera de Dios sólo?



Por eso, ante ese bien cuyo incomparable fulgor, esplendor y hermosura se presienten, el alma santa se abrasa en el fuego del amor: "Con todo mi ser -exclama- tengo sed del Dios fuerte, del Dios vivo; ¿cuándo iré, pues, a ver el rostro de Dios?"

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Eremo di San. Girolamo di Pascelupo e Abbazia di Santa Maria di Sitria

 


Eremo di San. Girolamo

scheggia- pascelupo (pg)
 Con la statale n. 298 da Perugia a Gubbio (31 km) e a Scheggia (13 km) e da qui si sale all'Eremo (15 km).
In treno si scende alla stazione di Fossato di Vico Gubbio e si prosegue in taxi.
Eretto nel 1521 dal Beato Paolo Giustiniani, fondatore degli Eremi Camaldolesi di Monte Corona. Insediamento atipico in quanto la posizione non ha consentito la costruzione di celle solitarie separate, come negli altri Eremi. Fu abbandonato nel 1928. Ricostruito (1985-91), è stato riaperto nel 1992. Sorge in una posizione estremamente solitaria, ma di grande fascino ambientale e dall'intensa misticità. Non è visitabile. Occorre prendere preventivi contatti.

Eremo di San GirolamoEremiti Camaldolesi di Monte CoronaVia CirconvallazioneLocalità Monte Cucco06020 Scheggia-Pascelupo (Perugia)Tel. 075 - 9250190





Abbazia di Santa Maria di Sitria


Abbazia di Santa Maria di Sitria
L'Abbazia di Santa Maria di Sitria, situata alle falde del Monte Cucco, nella frazione di Isola Fossara
L'Abbazia di Santa Maria di Sitria, situata alle falde del Monte Cucco, nella frazione di Isola Fossara
PaeseItalia
RegioneUmbria
LocalitàScheggia e Pascelupo
ReligioneCattolica
Stile architettonicoRomanico
Completamento1014
L'Abbazia di Santa Maria di Sitria si trova nel parco naturale del monte Cucco nell'eugubino, presso Isola Fossara, frazione del comune di Scheggia e Pascelupo in provincia di Perugia, quasi sulla linea di confine con la regione Marche.

Indice

Storia

Fu fondata da san Romualdo che vi visse per sette anni. L'eremo fu costruito nel 1014 mentre tra il 1018 e il 1021 il Santo vi fondò il monastero.
La chiesa di Sitria è composta da un'unica navata separata, alla maniera benedettina, dal presbiterio tramite una scala in pietra di 8 gradini. È di linee romanico-gotiche, presenta una copertura con volta ogivale in pietra e un altare abbellito da archetti trilobati, sorretti da 13 colonnine, delle quali la maggior parte furono rubate negli anni sessanta del 900 e successivamente ricostruite. Nel catino dell'abside si trova un affresco risalente al XVII secolo, raffigurante la Crocifissione, di autore ignoto.
La cripta sottostante, alla quale si accede per un ingresso al centro della scalinata, è molto elegante e presenta una volta sorretta da una colonna di granito con capitello, quasi sicuramente proveniente da una costruzione preesistente di epoca romana.
Il cenobio annesso che, sebbene fatiscente, esisteva ancora un secolo fa, è ora quasi completamente distrutto, se si eccettuano un salone con volta in pietra (forse l'antica sala capitolare) e un altro di medesima fattura al piano superiore. La chiesa, restaurata in maniera esemplare, è visitabile chiedendolo ai proprietari, i monaci benedettini camaldolesi di Fonte Avellana, non molto lontani e da cui dipende. Nel sotterraneo della chiesa, di fianco alla cripta, è indicata la cosiddetta prigione di san Romualdo, l'angusta cella in cui il Santo fu rinchiuso per sei mesi dai suoi stessi monaci.
Nell'Abbazia vissero, tra gli altri, san Pier Damiani, sant'Albertino da Montone, il beato Tommaso da Costacciaro e Leone il Precense.
Nel 2009 ha ospitato uno dei concerti della 20ª edizione del Gubbio Summer Festival[1].

Note

  1. ^ Gubbio Summer Festival

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