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viernes, 7 de junio de 2013

La foresta di Camaldoli



La foresta di Camaldoli


Storia di monaci e di alberi


Parlare del rapporto spirituale, tecnico e sociale dei monaci eremiti di Camaldoli con la foresta tanto antica quanto l'Appennino tosco-romagnolo -foresta che li ha accolti e che da loro ha ricevuto una cura che l'ha conservata e impreziosita - significa offrire alla nostra attenzione un orizzonte che si estende per quasi dieci secoli di storia, vale a dire dal fiorire della presenza monastica in questo luogo, attorno agli anni 1024, fino alla soppressione del 1866, che incorporò Eremo, Monastero e Foresta nella proprietà demaniale del nuovo Stato italiano.
Quasi dieci secoli di lavoro fatto dai monaci che hanno attinto alla spiritualità dell'Oriente cristiano e al suo rapporto fortemente simbolico di comunione con la Natura intenta a raggiungere il proprio compimento armonico con l'Uomo e per mezzo dell'Uomo, secondo il piano salvifico delle Scritture giudaico-cristiane.

Le ragioni spirituali, e in particolare la forte "gelosia" della vita eremitica, fecero sì che il rapporto esistenziale monaco-ambiente fosse garantito dalle pagine di codici che hanno accolto e conservato le Regole e le Consuetudini caratterizzanti la vita dei monaci-eremiti di san Benedetto e san Romualdo.
Il "Libro" divenne così testimone di un cammino fedele alla scelta fondamentale dell'ascolto di Dio e dell'Uomo, ascolto che per compiersi ha bisogno di quell'eloquente silenzio che l'ambiente incontaminato sa offrire; e di un cammino altrettanto fedele alla dinamicità di chi, appunto perché ascolta, si fa attento ai tempi e ai luoghi che attraversa.
Nel Libro, lungo i secoli, troviamo le costanti attenzioni e tensioni spirituali che rendono i monaci custodi gelosi del patrimonio forestale, ma è in un'autentica galassia di fogli sparsi lungo i secoli che cogliamo uno straordinario coniugarsi di problemi tecnici, economici e sociali che la conservazione intelligente di quel patrimonio ha richiesto e prodotto insieme.
Di questa costellazione di fogli è possibile apprendere, passando a volte di sorpresa in sorpresa: - le tecniche di rinnovamento del bosco, artificiali per i vivai e naturali per mezzo del prelievo di selvaggioni in bosco; - i tipi di taglio, pochissimo a raso, fitosanitari con ripuliture del sottobosco, e "a scelta" per assortimenti particolari; - le strutturazioni coetanee e pure di abete bianco, con l'adozione dei "ronchi utili" per depurare il terreno dai parassiti, con la dotazione delle colture, con la rinnovazione naturale che garantiva la selezione naturale; - la disposizione di spazi conservati alla silvicoltura spontanea; - l'uso di marchiare le piante destinate al taglio, con marchio martellatura, - le punizioni per i trasgressori delle norme sul taglio; - lo scavo dei laghetti per l'irrigazione dei vivai; ecc….
Tutti i documenti relativi al rapporto tra la comunità monastica e la foresta seguono l'itinerario di esperienza vissuta e rimeditata in un clima di silenzio orante e di lavoro.

Al capitolo XXXV del secondo Libro della "Regola della vita eremitica" - Regulae Eremiticae Vitae - il legislatore si preoccupa di come i monaci debbano "raccogliere la legna", "raccogliere il fieno", "andare all'orto", e con ciò fa intendere evidentemente l'uso della foresta, ma un uso spontaneo, domestico, una fruizione di un bene che dà i suoi frutti necessari al sostentamento degli uomini e degli animali.
Dal priore Gerardo, vale a dire dalle Costituzioni del 1279, le legislazioni che si succederanno via via nel tempo si preoccuperanno di disciplinare il rapporto monaco-foresta fino a quando questo sarà interrotto dalle Soppressioni civili che ne toglieranno la cura ai monaci. Le Costituzioni di Gerardo al capitolo XXIX prescrivono che un monaco sia deputato alla cura e alla conservazione degli abeti, alla difesa delle piante novelle e al taglio che solo lui può far eseguire per l'utilità dell'Eremo e del Monastero. E' la prima regolamentazione scritta che, evidentemente, tradisce una prassi già in corso e ormai bisognosa di una convalida atta a consolidarla e a garantirla per il futuro.

In una direttiva emanata il 14 settembre 1285, la comunità riunita nella cella del recluso Simone e presieduta da priore Gerardo, stabilisce unanimemente i confini entro i quali è possibile tagliare gli abeti o far pascolare gli animali senza il permesso del Capitolo. Allo stesso priore si impedisce di promettere e tanto meno di regalare abeti senza il medesimo permesso.
Nel 1520, stampato con i tipi in legno della nuovissima tipografia installata nel monastero, esce un libro di grande importanza: la "Eremiticae Vitae Regula a Beato Romualdo Camaldulensibus Eremitis tradita" - Regola della vita eremitica consegnata da san Romualdo agli eremiti di Camaldoli.
Si tratta della prima legislazione, promulgata dal Beato Paolo Giustiniani, dotto umanista veneziano (1476-1528). Quest'opera va considerata nel suo complesso il primo compendio ben articolato di tutte le precedenti norme stabilite fino ad allora dai Camaldolesi e ripropone il rapporto con la foresta come parte integrante della regola di vita dei monaci.
Successivamente, nel 1639 le nuove Costituzioni di Camaldoli introducono la figura della Guardia forestale; e nel 1850 un regolamento del Priore dell'Eremo ci documenta la creazione di un caporale che sovrintende al lavoro dei taglialegna (bifolci) e dei macchiaioli.

Nei testi definiti quali "Regola" o "Costituzioni", le disposizioni riguardanti la cura dei singoli alberi e dell'intera foresta non sono raccolte in capitoli riservati espressamente a loro, come voci proprie, ma sono inserite in un capitoli che si occupano di questioni fondamentali per la vita dell'eremo. In questi documenti tornano con insistenza le parole "custodire e coltivare" che sono le stesse con le quali, nel libro della Genesi (cap. 2,15), il Creatore affida all'Uomo la Terra. La dimensione biblica del "progetto divino" da realizzare in armonia con tutta la Creazione riemerge anche in questi particolari e l'armonia ricercata come "comunione" si evidenzia anche in questo pensare alla foresta non come a qualcosa "in più" a cui provvedere, bensì ad una realtà con cui vivere.
Si arriva così ad una reciprocità sorprendente ed esistenzialmente avvertita: i monaci custodivano una foresta che li custodiva. I monaci garantivano la vita alla foresta che garantiva ai monaci il silenzio, quel silenzio di cui avevano vitale bisogno per poter ascoltare la voce di Dio e degli uomini, e della storia che andavano scrivendo insieme. Una "gelosa" reciprocità che emerge dai documenti i quali la registrano quasi con compiacimento.

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