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sábado, 8 de junio de 2013

LA PREGHIERA TERESIANA











ECRETARIATUS GENERALIS PRO MONIALIBUS O.C.D. - ROMAE
 PROGETTO DI RIFLESSIONE TEOLOGICO SPIRITUALE
DELLE MONACHE CARMELITANE SCALZE







  LA PREGHIERA TERESIANA

Se, per individuare gli elementi che compongono la nostra vocazione carmelitana e per conoscere la maniera adeguata di viverli, non dobbiamo far altro che guardare alla Santa Madre, questo, a maggior ragione, vale per la preghiera, centro e peculiarità del carisma teresiano, e quindi elemento essenziale della nostra esistenza nella Chiesa.

La preghiera è indubbiamente la parola della nostra Santa Madre. Senza di essa non si spiega né la sua persona né il suo messaggio. E neppure il Carmelo di oggi. Perché, mentre ci apre l'accesso alla sua vita e alla sua dottrina, lo studio della preghiera teresiana ci porta a una comprensione più radicale della nostra vocazione.

Questa è anche la parola che, prima del vivere insieme o della parola vissuta, l'uomo moderno ha il diritto di aspettarsi da noi che, a causa di Teresa e in lei, siamo entrati nella coscienza della Chiesa come un Ordine particolarmente legato alla preghiera, comunità orante per eccellenza.

Nella Santa Madre si trovano tutti gli elementi che concorrono a formare un maestro qualificato di preghiera: esperienza ampia e abbondante; intelligenza profonda della grazia che Dio gli accorda; capacità di tradurre in parole e di comunicare la propria esperienza. Con grandissima precisione ella scrive: "Una cosa è ricevere da Dio la grazia, un'altra conoscere che tipo di grazia sia, e un'altra ancora saper presentarla e far capire come sia" (V.17,5; cfr. V.12,6; 23,11; 30,4). Tre grazie mistiche che fanno di Teresa una maestra di preghiera, e nello stesso tempo indicano le parti dello studio sulla preghiera teresiana: Esperienza - Dottrina - Pedagogia.
1. ESPERIENZA TERESIANA DELLA PREGHIERA


Tutti sappiamo che l'accesso all'esperienza della Santa Madre è il passaggio obbligato per comprendere la sua parola, il suo messaggio. Perché l'esperienza è la fonte della sua conoscenza, ed è attraverso la sua esperienza che ella ha compreso i punti fondamentali della vita cristiana e l'ha meditata, al fine di illuminare le vie sulle quali avanza la storia della salvezza personale, della relazione amicale di ciascuno di noi con Dio.

Solo poche parole per inquadrare questa esperienza in una presentazione schematica, che ci aiuterà a entrare nella sua parola e nel suo messaggio.

Primo periodo: la preghiera facile e spontanea: Teresa scopre la preghiera (cfr. V.1).

Secondo periodo: la preghiera difficile, arida, che va dalla crisi della adolescenza fino alla conversione definitiva, avvenuta nel 1554 (V.1). La difficoltà che ella sperimenta proviene da una duplice causa: da una parte, la sua incapacità al ragionamento discorsivo e l'insubordinazione della immaginazione (V.4,8-9; 9,4); dall'altra la sua resistenza a entrare nella via dell'amore totale, le contraddizioni della sua vita. Di questo tempo ella dice: "Sembrava che io volessi, a tutti i costi, conciliare fra loro questi due opposti - così ostili l'uno all'altro - quali sono la vita spirituale, le sue gioie, le sue soddisfazioni e i passatempi sensuali" (V. 7,17). D'altra parte, dice, voleva restare fedele alla preghiera, ma vivere a suo piacere (V.13,6). Un dramma autentico nell'anima di Teresa: divisa fra Dio e le creature. "Al punto, confessa, che non so proprio come sia riuscita a sopportarla per un mese, e a maggior ragione per tanti anni" (V. 8,2). Per un anno o più abbandona la preghiera (V.7,11; 19,5). Ella definisce più tardi questo abbandono come la sua "più grande tentazione" (V.19.10). La sua vita era presa da una grande depressione morale: "Il periodo in cui l'ho tralasciata (la preghiera) fu per me peggiore che perdere la vita" (V.19,11). Il vero guaio è abbandonare la preghiera, dirà con chiaroveggenza (V.15,3).

Terzo periodo: l'inizio del terzo periodo corrisponde all'entrata nella vita mistica. Punto di partenza il 1554, anno della sua conversione definitiva. Incomincia a rompere con le occasioni di caduta e a dedicarsi seriamente alla preghiera, finché Dio si abbassa letteralmente fino a lei. Annoterà spesso questa concomitanza. "Appena ebbi cominciato a fuggire le occasioni e a darmi di più all'orazione, il Signore prese ad elargirmi le sue grazie, quasi che per darmele non avesse atteso altro che il mio solo consenso a riceverle" (V.23,2; cfr, V.19,7; 9,9,-10).

Una lettura attenta della preghiera mistica, in tutte le sue forme e manifestazioni, ci porterà a scoprire che, al di là e al di sopra dei fenomeni e delle ripercussioni psicosomatiche, la preghiera mistica è una comunicazione di Dio, comunicazione personale all'uomo, e da questi sperimentata, ogni volta a livelli di maggior interiorità, fino a pervenire alla comunione personale. Risalta chiaramente che la preghiera mistica per Teresa è una "relazione di persona a persona", una "relazione di amicizia". Nell'amicizia le persone, gli amici, assumono un valore di assolutezza. Tutto il resto passa inevitabilmente in secondo piano.

Così arriviamo al "modo" in cui Teresa visse la preghiera nei suoi primi passi di "relazione" con Dio.

2. MODO DI ORAZIONE DI TERESA

Poche, ma precise e preziose, sono le testimonianze che noi possediamo del "modo" o "maniera" di pregare di Teresa. "Io facevo tutti gli sforzi per vivere con il pensiero di Gesù Cristo presente in me" (V.4,8). "Ecco qual è stata la mia maniera di pregare: cercavo di rappresentarmi Gesù Cristo dentro di me" (V.9,4). Questo modo di orazione riveste un realismo straordinario nel momento della comunione eucaristica. Parlando di se stessa in terza persona, confida: "Credendo veramente che il Signore entrava nella sua povera locanda" (C.34,7). Pregare: attenzione alla persona di Cristo, e questo nell'intimo dell'anima, che è il luogo dell'incontro personale: Pregare: stare con Lui, "considerare" o "rappresentarsi", cioè rivivere, rendere attuale la presenza. "Io restavo là con Lui" (V.9,4). Unirsi alla persona. Quando tradurrà la sua esperienza in insegnamento, ella non dovrà far altro che cambiare il soggetto: "stare vicino a Lui" (V.13,22). Di questo modo di comportarsi nell'orazione - più tardi la chiamerà "orazione di raccoglimento" - affermerà nel Cammino: "Non ho mai saputo che cosa fosse pregare con gusto, finché il Signore non mi ha insegnato questo modo" (C.29,7). Ne diventerà l'apostolo infaticabile, con una convinzione originata e sostenuta da una ricca e grande esperienza. Ridurrà a sistema questa dottrina nel Cammino 26-29.

La sua personale esperienza dell'orazione la porta a equiparare 'l'orazione = perfezione'. Poiché è un "rapporto di amicizia", l'orazione concerne la vita intera. L'orazione-amicizia è totalitaria e assorbente. Pregare è scegliere Dio come amico. Teresa ha trovato la spiegazione della sua crisi e il modo per risolverla, quando scrive: "Se vi avessi ricambiato con un po' dell'amore che Voi cominciavate a mostrarmi, non avrei potuto darlo che a Voi, e questo sarebbe stato il rimedio di tutto". (V.4,4). Pregare è "voler essere servi dell'amore" e "seguire nel cammino dell'orazione Colui che tanto ci ha amati" (V.11,1). Vivere per l'Altro, per l'Amico. "Siccome vi siete collocate ad uno stadio così alto qual è quello di voler trattare da sole a solo con Dio, disertando i passatempi del mondo, che Sua Maestà ci guidi per dove vorrà, noi non ci apparteniamo più, noi siamo suoi" (V.11,12). La vita segue l'andamento della orazione. E l'orazione segue l'andamento della vita. Noi siamo ciò che è la nostra orazione, ossia ciò che è la nostra amicizia con Dio. Perché pregare è "scambiarsi l'amicizia", realizzare e approfondire le relazioni amicali con Dio.

3. MESSAGGIO TERESIANO DELL'ORAZIONE


Dalla sua esperienza dell'orazione, Teresa è passata a proclamare il suo messaggio. Pregare è "avere un rapporto di amicizia", intrattenersi spesso, sole e solo, con Chi sappiamo che ci ama (V.8,5). Assieme alle enormi risonanze bibliche di questa definizione teresiana e alla rivoluzione che suppone nella storia della spiritualità, si vuole richiamare l'attenzione al fatto, del resto evidente, che la forza della concezione teresiana dell'orazione spinge le persone che vivono una relazione di amicizia le une verso le altre. La definizione teresiana sottolinea che, pregare è attendere alla Persona, a partire dalla propria persona: accoglienza e donazione, ascolto e comunicazione. "Scambio".

Quando nel Cammino ella si domanderà espressamente: in che cosa consiste l'orazione mentale? (C.22), non riprenderà la definizione data nella vita; ma, in modo rivelatore, dirà alla fine del capitolo: "l'orazione mentale, figlie mie, è capire queste verità". Una lettura attenta del capitolo ci farà scoprire che "queste verità", non sono verità astratte. Sono "le verità" di Dio e dell'uomo: Scoperta orientata verso l'incontro esistenziale, "conformare la mia natura alla Sua" (ibid.7).

Teresa vuole che tutta l'attenzione di chi prega, sia incentrata sulla Persona divina. "Guardare" la Persona. "Io non vi domando che di guardarlo" (C,26,3). "Rammentare, nel riposo dell'intelletto, che Egli ci guarda" (V.13,22). Poco importa ciò che Gli si dice o come lo si dice. Ciò che interessa è che si resti con Lui. L'atto di presenza.

Attenzione alla Persona, diremmo noi. E con una sfumatura molto teresiana: attenzione all'amore che Dio ci porta. Questo amore si pone come elemento della definizione: "Con Chi sappiamo che ci ama". Teresa annoterà con cura, che la prima lezione di Cristo, Maestro di orazione, è l'amore che ci porta: "dalla prima (parola del Pater Noster) voi comprenderete l'amore che Egli ha per voi" (C.26,11). Sapersi amati. E' questo il punto di partenza per una risposta d'amore: l'amore attira l'amore (V.22,4). Di conseguenza, in tutte le cose bisogna considerare l'amore che Dio ci porta: "Tutto quello che vi inciterà ad amare di più, fatelo" (4 M. 1,7).

Incontro nell'amore, ecco cos'è l'orazione. È incontro nella verità: la verità di Dio e la nostra verità. Nell'orazione Dio si svela a noi, ci mostra la sua verità: che Egli ci ama, che dona e si dona. "Dio è amico del dare". "Egli non si stanca di dare", e ciò "senza limiti". Egli cerca qualcuno a cui donare". Questo è il Dio che Teresa ha scoperto nell'orazione. La conoscenza di qualcuno - anche di Dio - si ottiene solamente per mezzo del rapporto amicale con lui.

È scoperta anche di noi stessi. Pregare è "entrare nell'intimo di se stessi". "Conoscerci": la nostra ricchezza, la nostra miseria, il nostro stato morale: Noi siamo un "palazzo di diamante o di purissimo cristallo". La nostra grande capacità, dignità, bellezza. Queste sono le prime parole di Teresa che leggiamo all'inizio del Castello. "Noi possiamo conversare nientemeno che con Dio" (1M. 1,6).

L'orazione ci svela anche la nostra situazione morale. Conoscenza di sé, di cui ella dice che "nella orazione vedeva il triste cammino che percorreva" (V.19,12): "nell'orazione io comprendevo meglio le mie colpe" (V.7,17).

Incontro personale, l'orazione è anche incontro "trasformante". L'orazione genera uomini nuovi. "Scambiarsi l'amicizia" significa rafforzare e consolidare l'amicizia. E' questa la tesi che la Santa Madre difende in tutte le sue opere. L'Autobiografia sostiene la tesi che l'orazione ci trasforma. E per comprovare questa affermazione, Teresa ci racconta la sua vita, che è il frutto dell'orazione. La struttura interna dell'opera risponde a questa tesi. Il Cammino ritorna su questo soggetto: l'orazione = cammino di perfezione; e le Mansioni presentano l'orazione come un movimento di interiorizzazione, di avvicinamento al centro di noi stessi, dove vive Dio. Approfondire i rapporti con Lui.

L'orazione migliore sarà sempre quella che rinnova di più la vita: "Io non desidero alcun'altra orazione, che quella che mi fa crescere in virtù. Questa sì è l'orazione vera! Non quei certi gusti che non fanno altro che soddisfarci e niente di più" (Lettera al P.Graziano, 23.10.76; 133,8).

Di conseguenza, è sufficiente osservare la vita, per discernere la vera orazione. Anche quando si tratta dell'orazione mistica: "è dagli effetti e dalle opere che seguono, che si riconosce la verità di questa orazione: infatti per provarla non c'è crogiolo migliore" (4M. 2,8; cfr.6M 8,10; CC.53, 16).

In concreto, per discernere la verità dell'orazione, basta osservare la vita: "Volete, figlie mie, conoscere il vostro grado di avanzamento? Che ciascuna di voi guardi se si considera come la più disprezzabile di tutte (...) e non se ha più consolazioni spirituali nell'orazione, più estasi, più visioni e altri favori del Signore. Per conoscere il valore di questi beni, bisogna aspettare il mondo di là" (C.18,7).

Poiché è incontro di amicizia, l'orazione resta essenzialmente aperta alla crescita e allo sviluppo. L'orazione non è qualcosa di compiuto. L'orazione è una realtà viva, dinamica, in costante progresso.

E' molto importante mettere in evidenza questa dinamica dell'orazione, per non ostacolare, ma aiutare invece positivamente l'orazione della persona in ogni tappa del cammino.

La Santa Madre ha parlato del dinamismo dell'orazione con il linguaggio immaginoso delle comparazioni: i diversi modi di irrigare il giardino, nella Autobiografia; i diversi gradi di comunicazione nella vicenda delle relazioni personali fra Dio e l'uomo, nel Castello. Nei due paragoni si vede come una progressività nella descrizione dei due protagonisti: Dio e l'uomo. Cresce l'attività di Dio e, parallelamente, cresce la passività dell'uomo. Nella Vita, la Santa dice che il lavoro del giardiniere (= uomo) a volte è meno intenso, e tuttavia il frutto è migliore. Nelle Mansioni, il fatto di presentare la orazione come un movimento di interiorizzazione, mette ancor più in evidenza i gradi nei quali si situa questo incontro: Dio e l'uomo si incontrano a dei livelli sempre più intimi e profondi. (Questo significano le diverse mansioni).

L'orazione mistica è il "campo" per eccellenza" del magistero teresiano. Ella tenta di colmare una lacuna esistente nei trattati di orazione (1M 2,7; V.14,7). In altri termini, afferma la cosa più importante di questo rapporto di amicizia, che abitualmente passa sotto silenzio: cioè che Dio opera. Egli è l'agente principale.

E così portare l'uomo ad un atteggiamento di passività-attiva, di ascolto ricettivo. L'orazione per Teresa è fondamentalmente, da parte dell'uomo, tempo di ascolto, tempo della manifestazione di Dio. Epifania, svelamento. E' quanto fa vedere il paragone che serve da trama all'esposizione del Cammino: Cristo - Maestro, l'uomo - discepolo. Con esso indica l'atteggiamento che consentirà all'uomo di accedere alla città della orazione, quando scrive: "Avvicinatevi dunque a questo Maestro, ben decise ad imparare ciò che Egli vi insegna" (C.26,11). Dio-Cristo "ammaestra" nell'orazione "colui che vuole accogliere il suo insegnamento nell'orazione" (C.6,3; cfr.2M 1,3; 4,3; V.16,1; C.28,3...).

Quando si colloca l'orazione a questo livello di incontro interpersonale, di mutuo amore, allora si trova la soluzione radicale a un "problema" che ha sempre una fondamentale importanza nella "prassi" dell'orazione: le distrazioni e l'aridità. Teresa non si stanca di dirci che, le distrazioni e l'aridità non impediscono l'atto dell'orazione, anche se lo rendono certamente più difficile. L'orazione non è una questione psicologica, ma teologale. A più riprese, ella afferma che l'uomo può "essere" con Dio "anche quando ha mille preoccupazioni inquietanti e pensieri mondani" (V.8,6), "anche se è impossibile avere un buon pensiero, non si disperino" (V.22,11; cfr. 2M. 1,9). E' per questo che consiglia di "non far caso dei cattivi pensieri" (V. 11,11). Non è bene "lasciarci disturbare dai nostri pensieri, né dar loro importanza" (4M. 1,11). Iniziando dal n.7, tutto questo capitolo è straordinario.



4. CRISTO NELL'ORAZIONE TERESIANA

Ogni trattazione sull'orazione teresiana non può che mettere in evidenza la dimensione cristocentrica di questa orazione. Cristo non è un tema. Egli è la Presenza obbligata, inevitabile, in tutto il cammino.

L'orazione di Teresa è sempre stata centrata su Cristo, dal principio alla fine (cfr. V.4,8; 9,4). Cristo - UOMO (ibid.6). Ella ci dice della sua abitudine "di rallegrarsi della compagnia di questo Signore" (V.22,4), e che "in tutta la sua vita era stata molto devota di Cristo" (ibid.).

Consiglierà ai principianti di "immaginarsi d'essere alla presenza di Cristo; di imparare ad innamorarsi profondamente della sua sacra Umanità, e vivere alla sua presenza" (V.12,2), considerando "progrediti coloro che si sforzano di vivere in questa preziosa compagnia" (ibid.); mentre esorta a non trascurare "troppo spesso la Passione e la Vita di Cristo, da cui ci sono venuti e ci vengono tutti i beni" (V.13,13).

L'orazione mistica conferma questo orientamento cristologico dell'orazione teresiana (6M. 8,1). E' perché prende parte, con la forza e la convinzione della sua esperienza, alla disputa sulla presenza dell'Umanità di Cristo in tutto il processo spirituale, che Teresa afferma che questa Umanità di Cristo è il cammino e la porta di ogni bene, e per quanto la riguarda, lei "non vuole alcun bene, eccetto quelli che le vengono da Colui dal Quale sono venuti tutti i beni" (6M. 7,15).

L'orientamento cristologico dell'orazione teresiana fu definitivamente confermato da un fatto decisivo: Cristo le si presentò come "il libro vivente" o veritiero, dove s'impara "tutto quello che è necessario sapere e fare" (V.26,6). E una serie di grazie mistiche (visioni, parole, ecc...), che hanno Cristo per oggetto, porterà a compimento questa scelta. Cristo la introdurrà nel matrimonio spirituale e nel mistero trinitario (7M. 1,7; 2,1).

Dal "fissare i nostri sguardi su Cristo" (1M. 2,11) fino all'apparizione del Signore nel centro dell'anima (7M. 2,3), l'orazione si sviluppa come una manifestazione di Dio e dell'uomo in Cristo, un incontro cristificante: "Camminiamo insieme..." (C.26,6).

5. PEDAGOGIA TERESIANA DELL'ORAZIONE

L'orazione si impara con la pratica. Di conseguenza, la preoccupazione principale di Teresa è di insegnare a pregare, di disporre e di ordinare gli elementi che compongono colui che prega.

L'orazione è un dono. Ma accordato ad un uomo libero. Questo significa che, come ogni seme, l'orazione ha bisogno di un terreno e di cure, per il suo sviluppo e la sua fioritura.

Il Cammino è il libro per eccellenza dell'orazione teresiana. Lo schema interno dell'opera manifesta l'intenzione dell'autrice. Indugia nella esposizione delle "cose necessarie", che devono acquistare coloro che "vogliono seguire il cammino dell'orazione". Conosce l'ansia delle sue lettrici di sentirla parlare dell'orazione. Tuttavia ritarda nell'affrontare l'esposizione diretta (cfr. C.16,1; 17,1; 20,1; 21,1).

Teresa è categorica: nessuno può essere contemplativo senza queste virtù: la carità, il distacco e l'umiltà. Se qualcuno lo pensasse, si ingannerebbe assai. Al contrario, chi le pratica "avanzerà molto nel servizio del Signore", anche se non è un contemplativo puro, anche se la sua orazione è povera e non raggiunge le orazioni mistiche.

Come si può presentare la pedagogia della Santa Madre?

Ci sembra di poter dire che per lei, insegnare a pregare è insegnare a vivere. O, semplicemente, ad essere. Non si tratta di insegnare una tecnica - almeno non proprio e non in primo luogo,- ma di rifare l'uomo dall'interno. Costruire colui che prega, prendersi cura della persona che si dà all'orazione. Teresa si mostra estremamente conseguente con i suoi propositi e logica con la sua definizione dell'orazione: "rapporto di amicizia", una opzione radicale e totalitaria per Dio. Così, le tre "cose necessarie" mirano direttamente a promuovere qualche comportamento che si opponga radicalmente all'uomo del peccato, perfezionando l'uomo nuovo, l'amico di Dio.

Egocentrismo Carità Verginità
Possesso Distacco Povertà
Orgoglio Umiltà Obbedienza.

Possiamo formulare con le stesse parole della Santa lo scopo che persegue la sua pedagogia: "Non sarete dunque molto sorprese, se in questo libro ho insistito tanto perché vi sforziate di ottenere questa libertà" (C.19,4). Libertà che è donazione totale: "Tutti gli avvisi che troverete in questo libro, tendono a questo scopo, darci interamente al Creatore e a Lui rimettere la nostra volontà" (C.32,9; cfr. 28,12). E' il primo avviso con il quale ella comincia il piccolo trattato dell'orazione: "Se non ci consegnamo interamente, il tesoro dell'orazione non ci sarà dato" (V.11,1-4).

Una presentazione particolare delle "cose necessarie", sconfina di molto dai limiti del nostro studio. E' sufficiente dire che: con l'appello alla carità, Teresa vuole che l'uomo impari a trattare con i suoi fratelli, a essere amico, a offrirsi agli altri, per poter aver poi il suo "rapporto" con Dio; con il distacco da tutte le cose create o la libertà, la Maestra di orazione ci esorta a rompere gli ormeggi, a controllare l' "appetito" del possesso, e a liberarci da tutto; con la umiltà, ella ci insegna ad accettare Dio come protagonista della nostra vita, a lasciarci condurre da Lui, senza volergli imporre o "consigliare" la strada sulla quale deve condurci.

In consonanza con queste "cose necessarie", la Santa ci ha parlato molto della "ferma decisione - determinada determinaciòn". E' un punto centrale della sua pedagogia. Ferma determinazione contro i timori esterni, contro certi teologi che dicono "che l'orazione mentale non è necessaria; e anche contro le indolenze e le stanchezze interne; le resistenze ad entrare nel cammino dell'amore, perché noi siamo avari; ci si affretta a fare a Dio il dono totale di noi stessi (V,11,1), ma "dopo un primo slancio generoso, ci mostriamo tanto avari" (C.32,5).

Che cosa intende la Santa Madre per ferma determinazione? Uno slancio di tutto l'essere verso Colui che ci libera da noi stessi e ci converte a Sé. Determinarsi è convertirsi a Lui. Implica cioè un atteggiamento d'amore puro, d'amore gratuito. Già ai principianti nella via dell'orazione, dà questa consegna: "l'intenzione (di chi comincia) non dev'essere di accontentare se stesso, ma di contentare Lui" (V.11,10).
E questo si traduce concretamente in sopportare con animo virile, senza drammatizzare egoisticamente, la croce della aridità: l'orazione difficile. Personalizzando - ciò a cui la Santa è grandemente portata - "determinarsi" è: aiutare Cristo a portare la croce, "non lasciarlo cadere sotto la croce". Questa è la risposta ad una domanda molto seria, con la quale espone l'orazione dei principianti: "Che farà colui che da molti giorni non prova altro che aridità, fastidio, ripugnanza estrema nell'andare ad attingere acqua?". Ella risponde: "dovrà rallegrarsi, consolarsi, e se Egli (Dio) lo vuole, anche senza salario, prendersi cura di ciò che gli è stato raccomandato; che Lo aiuti a portare la croce; che prenda la decisione di non lasciar cadere Cristo sotto la croce" (V.11,10). Nei capitoli seguenti, ella dirà loro di nuovo: "è un grande impegno per le anime che cominciano nell'orazione, il distaccarsi da ogni sorta di soddisfazione, mettersi risolutamente ad aiutare Cristo a portare la sua croce, come buoni cavalieri che, senza paga, vogliono servire il loro re" (V.15,11). Consiglierà alle sue figlie questo atteggiamento di puro amore: "Prendete, figlie mie, la vostra parte di questa croce, poco importa se i giudei vi insultano, se voi alleviate la sua pena" (C.26,7). Questo sarà l'impegno, quello sostanziale; tutto il resto è accidentale. "Abbracciate la croce che il vostro Sposo ha portato, e comprendete che qui sta il vostro impegno: il resto non è che accessorio" (2M. 1,7).

La ferma determinazione deve essere radicale (V.11,1-4), irrevocabile (C.20,2; 23,1-2), perseverante (2M. 1,6). In una parola, deve mettere l'uomo sul piano di Dio: affinché l'amicizia duri e l'amore sia vero, le condizioni tra i due devono essere parificate (V.8,5). Dio aspetta solamente questa determinazione (V.11,1; 12,3; 3M. 1,7).

Assieme a questi presupposti o inizi dell'orazione, che potremmo ben chiamare teologali, esigenze intrinseche dell'orazione-amicizia, Teresa insiste su altri elementi, non meno importanti. Noi li chiameremo presupposti psicologici. Con essi si mette in rilievo la solitudine. Essa è come un elemento integrante nella definizione dell'orazione: "intrattenersi sola con il solo". L'amicizia - e l'orazione è la versione divina dell'amicizia umana, "a lo divino" - l'amicizia cerca l'atmosfera della solitudine e crea la solitudine. Veramente ogni preghiera è un 'sola a solo' con Dio.

Educarci alla solitudine: essa è necessaria per arrivare ad essere degli oranti, per essere persona. E' necessaria per fissare le esperienze e scoprire gli aspetti della realtà che ci sfuggono. E' necessaria per lo sviluppo di tutte le dimensioni dell'essere. La solitudine è per "l'ascolto", per arrivare agli strati del nostro "io" che di solito ci sfuggono e che non si sfruttano, perché non li conosciamo. La solitudine ci permette di sapere con chi siamo. Solitudine abitata. "Poiché voi siete sole, cercate una compagnia. Ce n'è una di migliore di quella dello stesso Maestro che ha insegnato la preghiera che state facendo?". (C.26,1). Orazione sola con il solo, non vuol dire fuggire qualcuno, ma andare verso qualcuno. Essa non è assenza, ma presenza.
Il legame tra orazione e solitudine è così intimo, che Teresa lo usò come criterio di discernimento dell'orazione: "questo desiderio (della solitudine) è continuo presso le anime che amano Dio veramente" (F.5,15). Si vede la crescita nell'orazione, a misura che cresce il desiderio della solitudine.

Solitudine materiale: di questa ella dice che "abituarci alla solitudine è una grande cosa per l'orazione" (C.4,9). Si rifà alla pratica e all'insegnamento di Gesù: "Voi sapete già che Sua Maestà ci insegna a pregare nella solitudine, come faceva sempre Lui stesso" (C.24,4).

Solitudine spirituale: solitudine degli "amori" e presenze che inquinano alla radice l'incontro con Lui. La solitudine spirituale è attenzione seria, gravitazione amorosa attorno all'amico, presenza di tutto l'essere a Lui. Essa arriva al culmine quando "non ci si allontana più da questo centro". L' "essenziale" e la "cosa migliore" per l'uomo "è di essere sempre con Lui". La solitudine spirituale è interiorizzazione (7M 1,11; 2,5).

La Santa raccomanda pertanto "di cercare l'amicizia e la compagnia di altre persone che si danno anch'esse all'orazione". "Orazione partecipata" (V.7,20-22; C.20,4). Il rapporto amicale con coloro che pregano - al primo posto, i membri della propria comunità - salvaguarda e fortifica l'orazione personale, educa all'orazione.

Teresa ci parla di un gruppo eterogeneamente composto (V.16,7) e di una Comunità orante stabile, che hanno scambi sulla orazione, e che non devono perdere la propria identità davanti agli altri (C.20,4-6).

Ella assegna al gruppo un valore straordinario nella promozione, nel mantenimento e nell'esigenza dell'orazione: "il solo rimedio che può trovare un'anima, è il rapporto con gli amici di Dio" (V.23,4), cioè con persone di orazione. "E' una grande cosa frequentare coloro che parlano di questo" (2M. 1,6). Teresa si rallegra molto di una consuetudine delle sorelle: "allorché noi siamo tutte riunite, mi capita qualche volta di provare una gioia particolare nel vedere le sorelle manifestare la loro contentezza interiore e gareggiare nelle lodi a Nostro Signore" (6M. 6,12).

L'importanza che ella attribuisce al "maestro di orazione", è in relazione con questo . E' convinta che, senza di lui - "un maestro saggio e sperimentato", - sarà impossibile progredire nell'orazione personale. Si lamenta di non averne di tanto buoni, come ella vorrebbe. E il suo insegnamento cerca appunto di supplire in qualche modo a questa possibile lacuna.

CONCLUSIONE

L'orazione, secondo Teresa, definisce e abbraccia tutta la vita spirituale. Interrogarsi su di essa, vuol dire interrogarsi su ciò che ci caratterizza e ci identifica nella comunità ecclesiale.




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